Vinicio Capossela all’ennesima potenza. Anzi, Vinicio Capossela, e basta. Questo è Vinicio Capossela, oggi, a venticinque anni dal suo esordio, uno dei rari esempi di artista italiano non derivativo, originale, con una voce propria, una poetica propria, un immaginario riconoscibile e facilmente decodificabile da tutti. Intendiamoci, non un artista per tutti, per stratificazione del linguaggio e, anche, per questione di gusti. Ma un artista.
In vista dell’uscita del suo film, Vinicio Capossela- Nel Paese dei Coppoloni, nato dall’omonimo libro e anticipatore dell’album Le canzoni della cupa, previsto per marzo, abbiamo assistito a una anteprima stampa, e la visione di questo film è un’esperienza da consigliare. Capossela è un affabulatore. Solitamente lo è in musica, ma lo è anche quando si tratta di parlare, di scrivere, di raccontare a voce. Dopo essere stato, legittimamente, paragonato a Tom Waits, nel momento del suo esordio, Capossela ha intrapreso un percorso nella musica della nostra tradizione, dove per nostra si intende l’Italia, certo, ma nello specifico il meridione, il suo meridione, e anche il Mediterraneo.
Come un antropologo, ma forse ancora di più come un rabdomante che cerca acqua per dissetarci, Vinicio ci porta a spasso per l’Alta Irpinia, tra storie di paese, miti nuovi e miti antichi, ancestrali, musiche, personaggi bizzarri e veri, dannatamente veri, dialetti a volte incomprensibili, a volte così stretti da risultare chiari, come solo grazie alla musica può capitare. E la sua musica segue lo stesso percorso del suo racconto, senza pretese di modernità, come invece, per dire, succede ormai alla Notte della Taranta. Vinicio si è guardato indietro, in un indietro che forse non era neanche il suo indietro, ma l’indietro dei suoi avi, e si è trovato in forma compiuta, definitiva.
Guardare Nel paese dei coppoloni, sentire le musiche del film, la colonna sonora naturale, le chiacchiere, le canzoni tradizionali, le canzoni inedite, è un po’ come perdersi dentro le rughe e le cicatrici di certi anziani che, in effetti, solo in certi angoli d’Italia è ormai possibile incontrare. Capossela, per trovarsi, è dovuto andare in un luogo abbandonato da quella che, vai poi a capire perché, chiamiamo civiltà. Luoghi che, a ben vedere, sono stati civilizzati in tempi tanto antichi da essere diventati quasi parte del mito stesso. Impossibile, oggi, pensare qualcun altro credibile in quei panni da pastore, da contadino, da uomo dei tempi andati.
Credibile perché vero. Credibile perché compiuto. Nel paese dei Coppoloni è il racconto di un paese reale, così si ama definire la provincia, dove non c’è il filtro dei media e dello showbusiness, e un paese reale è reale perché c’è vita, c’è sacro e c’è pagano (non profano), c’è storia e c’è leggenda, e soprattutto c’è musica. Musica non per molti, probabilmente, ma di tutti. Gran bel film, Vinicio Capossela- Nel paese dei Coppoloni, scritto dal cantautore col regista Stefano Obino, anche a guardarlo solo come un film, cosa che in effetti non è. Grande location, il paese dei Coppoloni, grande fotografia, grandi storie, grande colonna sonora. Aspettiamo marzo, dopo la sbornia sanremese, per goderci Le canzoni della Cupa, sicuri che nel mentre Capossela sia in giro a cercare altri miti e altre storie, sempre per ritrovare se stesso.