Negli ultimi anni si assiste a uno strano fenomeno: in nome di un anti-buonismo e un anti-moralismo lucidato con dosi eccessive di spirito critico (ma forse sarebbe meglio dire criticone), si assiste, soprattutto sui social, a un cattivismo gratuito (e spesso assai poco documentato). Ogni volta che si porta all’attenzione qualche iniziativa di charity o qualche opera di volontariato, si viene colpiti da un sarcasmo pesante, da segnalazioni di ruberie presunte, dal convincimento sovrano della malafede imperante.
Come se fosse impossibile immaginare che qualcuno desideri davvero spendersi per il proprio paese o per i più bisognosi, e che lo faccia solo per sentirsi utile, per dare senso e anche allegria (l’altruismo è il miglior antidepressivo in circolazione) alla propria esistenza. Come se gli oltre sei milioni di volontari italiani, che hanno svolto (secondo i più recenti dati Istat) un’“attività prestata gratuitamente e senza alcun obbligo” per almeno una volta al mese, fossero tutti in massa animati solo dal desiderio (anzi dall’obiettivo) di far prevalere un bieco interesse personale in ogni loro azione.
Come se gli oltre 4 milioni di volontari che operano all’interno di associazioni avessero il radar solo per Onlus traffichine e operazioni disoneste. Nel nostro paese il tasso di volontariato è pari al 12,6 per cento della popolazione: quindi un italiano su 8 crede in un Italia solidale (e la regione più solidale, con un tasso che sale al 21,8 per cento, risulterebbe il nordico Trentino). Sicuramente il fatto che il 23,4 per cento delle persone cosiddette “benestanti” svolgano attività di volontariato, permette ai professionisti della critica di affermare: “Evidentemente se lo possono permettere.” Peccato che un significativo 9,7 per cento ci racconti di persone con reali problemi economici che trovano appagante (e consolante) ricordarsi degli altri. O se preferite, degli ultimi.
Anche la considerazione che la fascia di età tra i 55 e 64 anni sia quella col tasso più alto di volontariato (il 15,9 per cento), si presta al sardonico commento: “Adesso che sono stati espulsi dalla società del lavoro si entusiasmano per la società etica…”. Ma un non trascurabile 10 per cento di ragazzi tra i 14 e i 24 anni di età considerano come una delle esperienze più formative della loro vita proprio quella del volontariato.
Insomma coloro che trovano sempre delle scuse per non impegnarsi o dare la colpa agli altri, coloro che nelle dietrologie e nei difetti altrui sguazzano come topi nel formaggio, se ne facciano una ragione: tra politici e manager corrotti, tra riforme invisibili o discutibili, esiste un paese che sa ancora donare e pensare al plurale.