Le cooperative, secondo la definizione del Codice Civile, sono società dedite alla produzione di beni o servizi dove lo scopo comune non è il profitto, ma quello mutualistico del vantaggio che i soci conseguono grazie allo svolgimento della propria attività, invece che con terzi, direttamente con la società. Lo scopo mutualistico può realizzarsi in diversi modi, come quello sopra accennato, oppure vendendo ai soci della cooperativa i beni alle stesse condizioni degli altri imprenditori, ma dividendo con loro i profitti conseguiti o fornendo direttamente ai membri della cooperativa occasioni di lavoro.
In quest’ultimo caso più che profitti veri e propri, sono distribuiti ai soci della cooperativa i c.d. “ristorni”, cioè la differenza tra costi e ricavi, in proporzione degli atti di scambio compiuti dai soci con la cooperativa, e non in proporzione del capitale posseduto, come accade per gli utili. È da sottolineare, però, che esistono cooperative che destinano la loro produzione anche a soggetti estranei, divenendo così simili alle altre società.
Tipiche sono le ben note cooperative di consumo che vendono i propri beni a terzi. In questo caso il vantaggio dei soci non sarà dato solo dai ristorni, ma anche dagli utili conseguiti; come si vede lo scopo sarà anche speculativo e non solo mutualistico.
Rispetto al passato è scomparsa la differenza tra cooperative a responsabilità limitata e illimitata (nelle società cooperative per le obbligazioni sociali risponde soltanto la società con il suo patrimonio) ma si è riaffermato lo scopo mutualistico, sottolineando anche la caratteristica del capitale sociale, non fisso, ma variabile.
Nel successivo articolo 2512, però, si è subito introdotto il nuovo concetto di “società cooperative a mutualità prevalente” dove si riconosce lo status di cooperativa non solo a quelle che operano con i propri soci, ma anche a quelle che operano con i terzi, fissando rigidamente il concetto di prevalenza nei successivi articoli.
L’introduzione delle cooperative a mutualità prevalente non incrina il favore del legislatore nei riguardi del fenomeno cooperativo (che trova fondamento nell’art. 45 della Costituzione), perché lo scopo mutualistico deve pur sempre essere “prevalente” rispetto all’attività svolta con i terzi o dall’utilizzo delle prestazioni dei soci, ma indica un cambio di orientamento del legislatore che sembra favorire di più questo tipo di cooperative, rispetto a quelle tradizionali, prevedendo solo per loro una serie di agevolazioni fiscali.
Secondo la normativa infatti, non concorrono a formare il reddito imponibile delle società cooperative e dei loro consorzi le somme destinate alle riserve indivisibili, a condizione che sia esclusa la possibilità di distribuirle tra i soci sotto qualsiasi forma, sia durante la vita dell’ente che all’atto del suo scioglimento.
La cooperazione produce l’8% del Pil nazionale, ha 12 milioni di soci in tutto il Paese, è cresciuta durante la crisi e dà lavoro a 1,2 milioni di persone. La cooperativa, essendo una società che non ha capitale, non lo remunera e reinveste in azienda tutto l’utile prodotto, può avere problemi di crescita finanziaria, perché tutto ciò rende difficile ottenere finanziamenti dal sistema bancario e ancor più dai fondi di investimento.
Certamente, poi, esiste un problema di crescita dimensionale; basti pensare al sistema della grande distribuzione dove le coop stanno cercando di aggregarsi per meglio competere con le grandi multinazionali presenti sul mercato italiano o al sistema delle Bcc, che sta studiano le forme possibili di crescita e aggregazione. Il problema della crescita e della disponibilità di capitale, viene affrontato dalle cooperative non bancarie, con il c.d. “prestito sociale” consistente in una raccolta di capitali, che dovrebbe sottostare alle regole previste per il sistema bancario e sottoposta ai controlli della Banca d’Italia.
Tale raccolta che non dovrebbe, secondo Bankitalia, superare il limite del triplo del patrimonio, con la possibilità di spingersi fino a cinque volte tanto accendendo una fideiussione che garantisca ai soci il rimborso del 30% dei loro prestiti. Non solo, nella definizione dei parametri e delle soglie di sicurezza, Bankitalia sottolinea che il valore del patrimonio da assumere a riferimento dovrebbe essere quello che rispecchia la reale situazione economico e finanziaria dell’azienda.
Le norme Bankitalia inoltre, vietano ai soggetti non bancari i “depositi a vista” (ritirabili con preavviso inferiore alle 24 ore). Le Coop hanno tolto dai loro siti la formula “depositi a vista” sostituendola con “preavviso di almeno 48 ore”. Però, dice il nuovo regolamento, “la cooperativa, qualora ne abbia la disponibilità, può, di volta in volta, rimborsare anche prima del termine suddetto”. Inoltre gli importi depositati sui “libretti” potrebbero talvolta essere utilizzati per pagare le spese fatte presso la Cooperativa, violando ancora una volta il limite temporale imposto.
Un problema di rimborso potrebbe inoltre nascere, in tempi di volatilità borsistica e degli investimenti, anche dal fatto che le Coop utilizzano i risparmi dei loro soci non per impegnarsi in nuove aperture, ma per dedicarsi alla speculazione finanziaria. Per esempio: l’Unicoop Firenze, la maggiore per fatturato (ben 3 miliardi di euro), ha in bilancio immobilizzazioni tecniche (ciò che serve per funzionare) per 2 miliardi e debiti verso i soci per 2,3 miliardi. Ma il debito complessivo è di 3 miliardi. Che ci fa la Coop con tutti quei soldi? Unicoop Firenze ha in bilancio 644 milioni di immobilizzazioni finanziarie, un importo paragonabile a quello di una vera merchant bank.
Gli importi di questa pratica di finanziamento sono enormi: si parla di 15 miliardi di euro, 12 miliardi solo nelle nove grandi cooperative di consumo, che 1 milione e 300mila italiani hanno scelto di affidare alla pancia del prestito sociale. Un importo così rilevante che se le coop fossero una banca, per volume di raccolta sarebbero la venticinquesima in Italia. Con la differenza, sostanziale, di non essere soggetta alla vigilanza cui sono sottoposti gli istituti bancari e gli intermediari finanziari. In questa enclave, senza ispezioni di Bankitalia, commissariamenti e segnalazioni sospette, per le società che hanno fatto crac hanno pagato azionisti e prestatori. Altro che bail-in.