“E’ morto ed io mi sono accorto che la parte migliore della mia vita se n’era andata e che cominciavo a morire con lui. Sono convinto che mi sta aspettando, che gli devo andare appresso. Per questo oramai dico a tutti che sono in viaggio verso il cielo, anzi verso il Paradiso, se esiste, perché uno come Pier Paolo, uno che è stato odiato come lui, solo per aver dato alla gente tanto amore, non può essere andato che lì. Voglio morire per essere il primo ragazzo di vita che va in Paradiso”. Scriveva così Franco Citti nella quarta di copertina della sua autobiografia, Vita di un ragazzo di vita (SugarCo edizioni), edita nel 1992. Citti è morto a 80 anni a Roma. E’ stato binomio inscindibile con Pasolini, fino a diventarne una sorta di immagine specchio del suo cinema. Il regista che l’aveva scoperto, e a suo modo lanciato, nel 1961, con Accattone. Dopo quei quadri bianchi con scritte nere e la citazione del Purgatorio di Dante, ecco scorgere Citti, il sottoproletario Vittorio, seduto ad uno sgangherato tavolino di un bar.
Fu il trampolino di lancio di un “ragazzo di vita”, come si è fatto chiamare Citti sempre da tutti. Una carriera fittissima passata per decine di film, tantissimi con Pasolini (Mamma Roma, Porcile, tutta “la trilogia della vita”), ma anche Fellini (Roma), Todo Modo con Elio Petri, i film del fratello Sergio come Casotto e Il Minestrone, La Luna con Bertolucci, ma anche film di genere di Ruggero Deodato e Stelvio Massi. Citti diventò star di borgata, caratterista di rango e protagonista ficcante, finendo perfino sul set del Padrino parte prima (1972) e Padrino III (1990). Un film anche da regista, Cartoni Animati, ma nel 1997. Non perse mai quella spontaneità e dolcezza, come quella acuta sapienza popolare che Pasolini aveva scorto da talent scout quale era. “Poteva anche trovare qualcun altro, e forse sarebbe stato meglio per me, avrei seguitato a fare il muratore, il pittore. Certo, sono contento di aver fatto cinema con lui, mi ha dato la possibilità di stare meglio anche economicamente, però se tornassi indietro non so se lo rifarei il cinema”.
Citti era nato a Fiumicino il 23 aprile del 1935. Un’infanzia vissuta nella miseria e tra le baracche della periferia più estrema, qualcosa di simile più al Brutti, sporchi e cattivi di Scola, che ai quartieri popolari lontani dal centro della Capitale. Lavoretti malpagati e mai continuativi da adolescente poi il fratello Sergio gli fa incontrare Pasolini in una pizzeria di Torpignattara. Il fratello, raccontò Franco, gli disse: ‘A Frà, te presento ‘no scrittore, ‘n amico mio’”. Pasolini non era ancora nessuno, scriveva poesie in friulano e di lì a poco avrebbe scritto Ragazzi di vita (1955). Citti con i vestiti ancora sporchi di calce da muratore si accomoda e si mangiano una pizza. “Pareva un’analfabeta”, dirà più volte l’attore romano del poeta. Ma l’amicizia tra i fratelli Citti e il poeta di Casarsa diverrà un sodalizio per poi trasformarsi in quello ieratico realismo dei primi lungometraggi di Pasolini. Un esordio folgorante per Citti quello del ’61 che gli disegnò addosso una sorta di maschera scavata dalla vita e dal tempo, un viso antico, qualcosa di primitivo e vivo allo stesso tempo. Comunque dei tratti distintivi da cinema mai più cancellati. Pur dopo aver fatto teatro con Carmelo Bene, o aver lavorato sui set di uno dei mogul della New Hollywood come Francis Ford Coppola.
E alla spontaneità e alla sovrapposizione quasi estrema tra realtà e finzione di Accattone si torna sempre. Ottomila lire al giorno di compenso in mezzo ad altri sottoproletari che vivono alla giornata. Non esistono esempi così plateali di ‘cinema verité’, forse il Caligari di Amore Tossico. “Non c’era nessun attore professionista e l’abbiamo fatto di corsa. Con qualche impiccio di mezzo – tornò spesso sul film del ’61 Citti. “ ‘Sti personaggi che facevano gli attori insieme a me, io compreso, qualche mattina non venivano proprio, chi andava a sfacchinà, chi andava a fa’ altre cose, allora era un po’ complicato”. “Lui (Citti, ndr) e Accattone sono la stessa persona”, scrisse una volta Pasolini. “Accattone naturalmente è portato ad un altro livello, al livello estetico di un ‘grave estetismo di morte’ come dice il mio amico Pietro Citati ma in realtà Franco Citti e Accattone si assomigliano come due gocce d’acqua”.