Di buono c’è rimasta ormai solo la garanzia dello Stato. Poste Italiane e Cassa depositi e prestiti lo sanno bene e per questo tentano di girare a proprio vantaggio i crac bancari. Così, nel pieno della polemica per i fallimenti di Banca Etruria, Banca Marche, Cassa di risparmio di Ferrara e Carichieti, il gruppo guidato da Francesco Caio lancia una campagna marketing sui buoni fruttiferi postali. Obiettivo: ricordare ai risparmiatori che ci sono titoli certi, garantiti dallo Stato e che è possibile comprarli allo sportello di Poste Italiane. Non a caso, secondo la campagna stampa, i buoni sono “i più ricercati dai cacciatori di certezze”. Anche perché, oltre alla garanzia pubblica, hanno anche una tassazione agevolata (12,5%) e lasciano al risparmiatore la possibilità di richiedere il rimborso in qualsiasi momento.
Tutto vero. Peccato solo che Poste Italiane trascuri di riferire un dettaglio non da poco: il rendimento. Forse anche perché, in tempi di tassi bassi, è veramente ridotto all’osso. Nel caso del buono fruttifero postale a tre anni serie “N15”, ad esempio, il tasso effettivo annuo lordo è dello 0,1 per cento. In pratica se si investono mille euro in un anno si guadagna un euro lordo, su cui si paga la tassa del 12,5 per cento. Certo, sempre meglio che un Bot con scadenza 13 gennaio 2017 e un rendimento medio lordo di -0,074 per cento. La situazione non cambia sui prodotti di lungo periodo. Per i buoni ordinari che possono durare al massimo un ventennio, il tasso effettivo annuo di rendimento lordo ammonta allo 0,10% sui primi tre anni. In pratica con 1000 euro investiti bisogna aspettare otto anni per intascare dieci euro di interessi. Insomma, i buoni fruttiferi che raddoppiavano il loro valore sono ormai solo uno sbiadito ricordo, capace però ancora di evocare una sensazione di positività e fiducia nei potenziali acquirenti.
L’unica consolazione è appunto il capitale garantito dallo Stato italiano esattamente come i titoli di debito del Tesoro. Non come i conti di deposito delle banche che offrono rendimenti decisamente più elevati (anche dell’1,5% annuo su depositi di dodici mesi e tassazione al 26%), ma su cui, nel caso in cui custodiscano più di 100mila euro, si allunga l’ombra dei fallimenti bancari. Alle Poste tutto questo lo sanno bene e così cavalcano l’onda delle paure dei risparmiatori ricordando le certezze di quella che era una società pubblica e che oggi è un’azienda quotata chiamata a far contenti i suoi azionisti e il mercato grazie al denaro dei piccoli risparmiatori italiani. Buoni inclusi.
Aggiornato da redazione web alle 11.10 del 19 gennaio
Per un errore, tra le quattro banche fallite è stata inizialmente indicata Carifirenze al posto della Cassa di risparmio di Ferrara. Ce ne scusiamo con gli interessati