Il “fattore wow” che Dick Pound, capo della Commissione indipendente della Wada, aveva promesso c’è stato ma fino a un certo punto. La seconda parte del dossier sullo scandalo doping nel mondo dell’atletica leggera arriva a conclusioni pesanti sui principali vertici della federazione mondiale, colpendo anche il nuovo numero uno Sebastian Coe. E ad un certo punto tira in ballo persino il presidente della Russia, Vladimir Putin. Ma resta in gran parte limitato all’atletica e a Mosca, senza investire altre discipline e altri Paesi, come invece ci si poteva aspettare.
È il secondo capitolo del “più grande scandalo sportivo degli anni Duemila” come lo hanno definito gli stessi inquirenti. A novembre la Wada aveva svelato l’esistenza di un complesso sistema di corruzione, ai massimi vertici della Federazione russa e della Iaaf per insabbiare casi di positività e lucrare ricattando gli atleti. Doping di Stato, laboratori segreti, mazzette da centinaia di migliaia di dollari. Un terremoto che ha coinvolto alcuni dei nomi principali del panorama mondiale (come ad esempio Massata Diack, figlio dell’ex presidente Lamine, o Valentin Balakhnichev, ex numero uno della FederAtletica russa), ha già portato alle prime squalifiche e alla sospensione a tempo indeterminato della Russia, che rischia di saltare l’Olimpiade di Rio de Janeiro 2016. La Wada aveva tenuto riservate altre informazioni, per permettere alle autorità di proseguire le indagini in piena riservatezza. Il seguito rappresenta un’ulteriore scossa alla credibilità già minata del neo presidente Sebastian Coe, presente in platea e assediato dai giornalisti. Il rapporto parla di “cultura della corruzione radicata ai vertici della Iaaf”, la cui responsabilità “non può ricadere su un numero limitato di persone”. E soprattutto – conclude – “non c’è modo di ritenere che il Consiglio (di cui Coe, poi eletto presidente, faceva parte) potesse non essere a conoscenza del sistema e dell’esteso programma di doping della Russia”. Coe, dunque, sapeva. Anche se Pound, capo della Commissione, non sembra fargliene una colpa, anzi, si spinge ad un improbabile endorsement: “Non posso pensare ad una persona migliore di lui per guidare la Iaaf”. Persino la Wada difende lord Coe. Il dossier, alla fine, si concentra in gran parte sulle irregolarità della Russia, confermando e allargando il quadro tratteggiato. E qui, un po’ a sorpresa, nelle carte salterebbe fuori addirittura il nome di Vladimir Putin. Non indagato direttamente, ma citato in una conversazione in cui Lamine Diack e Huw Roberts, legale della Federatletica russa, parlano di un accordo trovato col capo di Stato in persona per coprire nove atleti trovati positivi e permettere loro di gareggiare ai Mondiali di Mosca 2013. “Mi trovo in una posizione difficile che può essere risolta solo da Putin, a cui sono legato da una forte amicizia”, dice Diack. Che sia vero o solo millantato credito è ancora tutto da chiarire. Di certo, le indagini hanno già dimostrato il ruolo dei servizi segreti di Mosca. A riguardo Pound non ha commentato, mentre il ministro dello Sport, Vitaly Mutko, ha definito “assurde” le accuse. Per il resto nessun accenno ad altri sport, e qualche minimo sconfinamento in altri Paesi. “Non possiamo parlare con cognizione di causa – si è limitato a dire il capo della Commissione -, anche se quello che succede in altre nazioni, come ad esempio il Kenya, è chiaramente un problema”. Un’eccezione è rappresentata dal caso ben documentato nel dossier dell’atleta turca Aslin Alptekin Cakir, oro nei 1.500 metri a Londra 2012, a cui il figlio di Diack avrebbe tentato di estorcere 650mila dollari per coprire i risultati di un test antidoping, ricevendone “solo” un centinaio. Non abbastanza per le laute pretese di Diack junior: la positività fu divulgata e la medaglia olimpica revocata. Ecco la risposta del presidente della Iaaf Sebastian Coe alle critiche della Wada.