Vi sono personaggi pubblici i quali, spesso non si sa per quali meriti, godono di unanimi consensi. A vederli sorridere benevolmente, circondati da folle in delirio, o magari ghignare soddisfatti, attorniati da una selva di microfoni, torna in mente la riflessione di Bertrand Russell sull’origine dei miti: “Se a un uomo viene offerto un fatto che va contro i suoi istinti, egli lo scrutinerà attentamente, e a meno che l’evidenza sia soverchiante, si rifiuterà di crederci. Se, d’altro canto, gli viene offerto qualcosa che gli dà una ragione per agire in accordo coi suoi istinti, egli l’accetterà anche se sostenuta dalla più piccola evidenza”.
Gli imbroglioni, del resto, hanno sempre saputo che il loro mestiere non è quello di convincere gli scettici, ma di permettere ai creduloni di continuare a credere quello che vogliono credere. E il loro mestiere lo fanno assai bene, nella consapevolezza che sotto l’incalzare della pressione sociale di coloro che “vedono e sanno”, o hanno interesse a “vedere e sapere”, il senso d’inferiorità e di colpa ci inducono a ipostatizzare, cioè a rappresentarci come concreta una realtà astratta o ideale. La credulità collettiva, con le sue variegate sfaccettature, infatti, è una possente e operante realtà psichica, in grado di produrre nelle menti umane l’ipostasi che sussistano misteriose realtà oggettive, indipendenti da noi. Ci convinciamo, insomma, che queste realtà sussistano di per sé, sebbene non si riesca a vederle e magari proprio perché non si riesce a vederle, dal momento che riteniamo di non riuscire a vederle a causa della nostra miserevole pochezza intellettuale e morale.
Esemplare, al riguardo, la fiaba danese pubblicata col titolo Keiserens Nye Klæder da Hans Christian Andersen. In essa si narra di un imperatore che amava tanto avere sempre bellissimi vestiti nuovi, da usare tutti i suoi soldi per vestirsi elegantemente, senza curarsi né dei suoi soldati né di andare a teatro o di passeggiare nel bosco, se non per sfoggiare i vestiti nuovi. Nella capitale del suo regno, un giorno arrivarono due imbroglioni, che si dicevano tessitori e asserivano di possedere un nuovo e formidabile tessuto, sottile, leggero come “tela di ragno” e meraviglioso, ma soprattutto invisibile agli uomini che non erano all’altezza della loro carica e a quelli molto stupidi. Convinto che con quei bei vestiti avrebbe potuto scoprire chi nel suo regno non fosse stato all’altezza dell’incarico ricoperto e anche discernere fra gli stupidi e gli intelligenti, l’imperatore decise che quella stoffa dovesse essere immediatamente tessuta per lui, dunque elargì ai due truffatori molti soldi, affinché potessero cominciare a lavorare. Assalito, ben presto, dalla curiosità di conoscere l’andamento dei lavori, ma anche un po’ inquieto al pensiero che gli stupidi o chi non era adatto al suo incarico non potessero vedere la stoffa, pur non temendo per se stesso, preferì affidare quest’incombenza a un altro. Toccò al suo primo ministro, uomo di buonsenso e certamente capace di fare il proprio lavoro, il quale, dunque, avrebbe senza dubbio potuto vedere meglio di chiunque come stesse venendo la stoffa; entrato, però, nel salone dove i due truffatori si affannavano intorno ai due telai vuoti, non riuscì a vedere nulla; ovviamente non lo disse: tutti in città sapevano che straordinario potere avesse quella stoffa e tutti erano ansiosi di scoprire quanto stupido o incompetente fosse il loro vicino; anzi, esclamò: “È splendida! Bellissima! Che disegni e che colori! Sì, sì, dirò all’imperatore che mi piacciono moltissimo!”.
Ciò consentì ai truffatori di chiedere altri soldi, seta e oro, necessari a loro dire per tessere, ma che si misero in tasca, senza che sul telaio giungesse mai nulla. Lo stesso accadde con un altro cortigiano inviato dall’imperatore. Poiché ormai tutti in città parlavano di quella magnifica stoffa, l’imperatore volle vederla personalmente mentre era ancora sul telaio. I due truffatori si esibirono anche con lui nell’ignobile pantomima: “Come sarebbe!” pensò tra sé e sé l’imperatore: “Io non vedo nulla! È terribile! sono forse stupido? o non sono degno di essere imperatore? È la cosa più terribile che mi possa capitare”, ma subito proruppe: “Oh, è bellissima! ha la mia piena approvazione!” e ammirò, osservandolo soddisfatto, il telaio vuoto; non voleva dire che non ci vedeva nulla.
Tutto il suo seguito guardò con attenzione, e non scoprì niente di più; tutti, però, si mostrarono entusiasti e gli consigliarono di farsi un vestito con quella nuova meravigliosa stoffa e di indossarlo per la prima volta al corteo che doveva avvenire tra breve. L’imperatore fu d’accordo e consegnò ai truffatori la Croce di Cavaliere e il titolo di Nobili Tessitori. Tutta la notte che precedette il corteo i due restarono alzati con sedici candele accese, così che la gente potesse vedere quanto si dessero da fare per preparare il nuovo vestito dell’imperatore: finsero di togliere la stoffa dal telaio, tagliarono l’aria con grosse forbici e cucirono con ago senza filo, infine annunciarono che il vestito era pronto.
Inutile dire che l’imperatore sfilò senza vestiti per le vie della città, di fronte a una folla di cittadini i quali applaudiva e ne lodavano a gran voce l’eleganza, pur non vedendo alcunché nemmeno essi e sentendosi segretamente colpevoli di inconfessate indegnità. Fu un bimbo a spezzare l’incantesimo, gridando con innocenza: “Il re è nudo!” Ciononostante, il sovrano continuò imperterrito a sfilare come se nulla fosse successo. Andersen non ci dice a quale sorte andò incontro il ciarliero pargoletto e io non oso neppure immaginarlo.