Giuseppe Orefici dal 1982 coordina gli scavi del centro religioso di Cahuachi, l’unica missione archeologica nel continente americano finanziata dal ministero degli Esteri italiano. "Non ho rimpianti e anche da lontano continuo a collaborare e mantenere i contatti con l’Italia”
Ha lasciato l’Italia per studiare da vicino le civiltà precolombiane e grazie al suo operato a Nasca, città del Perù famosa per i misteriosi geoglifi conosciuti come “Linee di Nasca”, è stato portato alla luce quello che oggi è considerato il sito cerimoniale preinca in mattoni crudi più grande al mondo. Giuseppe Orefici, archeologo e architetto di Brescia, ha cominciato a viaggiare sulle tracce di antichi popoli quando aveva trent’anni e oggi dirige il Cisrap, Centro italiano Studi e ricerche archeologiche precolombiane con sede a Brescia e a Nasca. Qui dal 1982 coordina gli scavi del centro religioso di Cahuachi, un patrimonio storico unico non ancora noto al turismo di massa che oggi rimane l’unica missione archeologica nel continente americano finanziata dal ministero degli Esteri italiano.
“Per me sarebbe stato molto più facile lavorare in Italia – racconta il professor Orefici a ilfattoquotidiano.it – ma ho fatto una scelta per il tipo di formazione e di ambiente in cui svolgere la mia professione, per amore della cultura latinoamericana. Non ho rimpianti, perché ho seguito i miei studi e il mio lavoro, e anche da lontano continuo a collaborare e mantenere i contatti con l’Italia”.
La decisione è stata quella di partire per il Sud America alla fine degli anni Settanta, con spedizioni italiane che lo hanno portato a studiare e a seguire progetti di scavo e restauro dall’Isola di Pasqua al Chiapas, fino a Bolivia, Cile e Perù. A Nasca il progetto più significativo con Cahuachi, in cui Orefici ha investito tutto il lavoro di una vita, trascorrendo via via sempre più mesi nella città peruviana, fino a trasferirsi lì la maggior parte dell’anno.
“L’importanza di Cahuachi è enorme, basti pensare che il centro cerimoniale, che si estende su un’area di 24 chilometri quadrati, nel III secolo a.C. era molto più grande di Roma, che era una città – spiega il professore – Qui c’è materiale utile per studiosi di ogni disciplina, dai costumi della società alle ossa di camelidi”. Il sito, un complesso di 34 gruppi di costruzioni con piramidi, piazze, edifici, templi e sepolture, era conosciuto già dagli anni Trenta e negli anni Ottanta è diventato una missione finanziata dall’Italia proprio sotto la direzione del Cisrap. Gli scavi, la conservazione e il restauro delle rovine sono tutti a firma italiana, realizzati all’inizio grazie a fondi del ministero degli Esteri e donazioni private dalla Svizzera.
Quella che però potrebbe diventare una seconda Machu Picchu per il Perù, in realtà è stata scoperta solo per il 2-3 per cento, e le operazioni vanno a rilento per la mancanza di risorse. “Oggi il problema più grande sono i pochi finanziamenti – continua Orefici – Negli anni Novanta i contributi dal ministero degli Esteri erano di 60mila euro all’anno, oggi siamo a quota 3.500. Se si pensa che il costo per sostenere uno scavo archeologico si aggira intorno ai 1500-2000 dollari al giorno, e che solitamente devono essere impiegate circa ottanta persone, è chiaro che diventa un problema anche solo andare avanti”.
Orefici ha seguito il progetto fin dall’inizio, lottando contro la burocrazia italiana e straniera e i tagli alle sovvenzioni, e a Nasca nel 1999, in accordo con il ministerio de Cultura del Perù, ha fondato anche il Museo Antonini dove sono conservati e valorizzati i reperti che in questi anni di missione hanno permesso di ricostruire in parte costumi, vita ed economia di una delle più importati culture della costa meridionale del Perù.
“Negli anni Settanta era più facile sia lavorare con l’Italia che con il Perù, c’era meno burocrazia e più risorse – racconta il professore – Oggi in Perù c’è più resistenza verso i progetti degli stranieri, dovuta a un forte nazionalismo e all’identità riscoperta del Paese. Non tutti i progetti ‘esterni’ vengono visti di buon occhio, ma noi cerchiamo di andare avanti”.
Nel 2015 i lavori sono stati bloccati perché non c’erano fondi peruviani e per la prima estate non è stato possibile proseguire l’opera di conservazione e restauro. Intanto, però, l’impegno per promuovere e dare seguito all’attività continua: in programma ci sono collaborazioni con studiosi del Cnr e con università straniere dalla Polonia al Giappone, progetti, convegni e pubblicazioni, possibilità di stage e seminari per studenti consultabili sul sito www.progettonasca.org. Inoltre è stata aperta una foresteria nel Museo Antonini per ospitare turisti in collaborazione con l’operatore di turismo responsabile italo-peruviano PerùResponsabile. Un modo per sensibilizzare le persone sull’esistenza del sito archeologico, e anche per reperire fondi per finanziare quello che per il Cisrap è il “Progetto Nasca”, che comprende Cahuachi ma non solo.
“Nasca è famosa soprattutto per le Linee, che sono patrimonio mondiale dell’Unesco, e Cahuachi è all’interno dell’area, ma è ancora poco conosciuta, se non a livello scientifico – aggiunge il professore – È difficile farla conoscere, se il Perù non comincia a lanciare messaggi a livello turistico. Eppure, insieme ad altre rovine in città come acquedotti e siti di incisioni rupestri, Cahuachi potrebbe servire a rilanciare il turismo nella zona, che oggi è in declino. E’ anche quello che cerchiamo di fare con il nostro lavoro”.