Il corpo si trova in Spagna, a Melilla, sepolto come Massimo Testa De Adreas. Lo rende noto la trasmissione Chi l'ha visto. Secondo quanto accertato l'unico dei tre killer rimasto latitante morì nel '94 dopo essersi arruolato nella Legione straniera
Dopo 40 anni si cerca di fare luce su un mistero legato al massacro del Circeo: Andrea Ghira è veramente morto? Per accertarlo, secondo quanto riportato da “Chi l’ha visto?”, la procura di Roma ha disposto la riesumazione della salma dell’unico dei tre killer rimasto latitante. Ghira venne sepolto come Massimo Testa De Andres nel cimitero comunale di Melilla, in Spagna, dove si rifugiò sotto falso nome e si arruolò nella Legione straniera spagnola. Secondo la versione ufficiale, venne stroncato nel ’94 da un’overdose. La riesumazione è in corso. Oltre al legale della famiglia Lopez, avvocato Stefano Chiriatti, autore dell’esposto accolto dai magistrati, sono in Spagna la sua consulente genetica Marina Baldi e i professori Giuseppe Novelli e Giovanni Arcudi designati dalla procura. Il fascicolo è stato aperto dal pm Nicola Maiorano per avere la definitiva certezza che i resti sono proprio di Ghira. I prelievi necessari per consentire ai periti di raggiungere la certezza sono previsti per oggi e per domani, poi una volta analizzati saranno comparati con quelli già presi in esame nel 2005, quando vennero compiuti accertamenti dopo la scoperta della tomba con il nome di Massimo Testa De Andres. Anche allora le indagini vennero avviate dopo l’inchiesta mandata in onda da “Chi l’ha visto?”.
Il massacro del Circeo è avvenuto tra il 29 e il 30 settembre del 1975. Quella sera in una villa di famiglia al mare Gianni Guido, 19 anni, Angelo Izzo, 20 anni, e Andrea Ghira, 22 anni, picchiano, violentano e annegano una studentessa di 19 anni, Rosaria Lopez, e riducono in fin di vita una sua amica di appena 17 anni, Donatella Colasanti. I tre giovani – tutti appartenenti a famiglie dell’alta borghesia romana e vicini all’estrema destra – invitano le due ragazze a una festa nella villa. Festa che si trasforma subito in orrore. Dopo le torture, Guido, Izzo e Ghira avvolgono in teli di plastica quelli che ritengono essere due cadaveri e li caricano nel portabagagli della Fiat 127. Poi, tornano a Roma. Alle 23.30, parcheggiano la macchina in Via Pola e vanno in pizzeria. Alle 2.50 una donna che abita in un appartamento del palazzo davanti al quale è ferma la Fiat 127 bianca sente i pugni e i lamenti della Colasanti. Alle tre arrivano i carabinieri e trovano nel portabagagli Donatella Colasanti, livida e insanguinata. Accanto a lei il corpo della Lopez.
Sarà proprio Colasanti (morta a 47 anni dopo una lunga malattia nel 2005) a raccontare i dettagli di quelle 36 ore. Angelo Izzo e Gianni Guido vengono fermati e arrestati quella notte stessa. I due vengono processati e condannati all’ergastolo in primo grado nel 1976. Guido però si vede modificare, il 28 ottobre 1980, la condanna per il massacro del Circeo a 30 anni dopo la dichiarazione di pentimento e l’accettazione da parte della famiglia della ragazza uccisa di un risarcimento. In seguito, riesce ad evadere dal carcere di San Gimignano nel gennaio del 1981.
Guido fugge a Buenos Aires dove però viene riconosciuto e arrestato poco più di due anni dopo. In attesa dell’estradizione, nell’aprile del 1985 riesce ancora a fuggire, ma nel giugno del 1994 viene di nuovo catturato a Panama, dove si era rifatto una vita come commerciante di autovetture, ed estradato in Italia. Finisce di scontare la sua pena nel 2009, grazie a uno sconto arrivato dall’indulto. Izzo, invece, nel 2005, appena ottenuto dai giudici il permesso di uscire dal carcere, uccide la moglie e la figlia di un boss della Scu conosciuto in carcere a Palermo. Viene nuovamente condannato all’ergastolo nel 2008.
Insieme a Guido e Izzo, viene condannato al fine pena mai anche Andrea Ghira, che, invece, fa perdere subito le sue tracce. E rimane latitante fino alla sua morte “presunta”. E’ il 29 ottobre 2005 quando gli investigatori della polizia danno la svolta conclusiva alle indagini sulla sua fuga. Erano sulle sue tracce da tempo, intercettando le conversazioni dei suoi familiari. Così si scopre che, in realtà, il caporalmaggiore Massimo Testa, alias di Andrea Ghira è morto per overdose undici anni prima in Spagna ed è sepolto nell’enclave spagnola. Anche in quel caso la procura di Roma dispone la riesumazione della salma per effettuare la comparazione del Dna. Il 26 novembre arriva il risultato: il corpo è di Ghira. Ma l’esito non ha mai convinto il legale della famiglia Lopez. Da qui l’esposto e il nuovo accertamento. Per capire una volta per tutte se quel cumulo di ossa nel camposanto di Melilla appartengano o no al massacratore del Circeo.