Una direttiva europea impone che per i dipendenti della Sanità siano previste interruzioni di almeno 11 ore tra un turno e il successivo. L’Italia fino allo scorso 25 novembre ha goduto di una deroga, ma ora, scaduta la deroga e rimasto il problema, si preannuncia la procedura di infrazione. Per tutti i servizi pubblici la risorsa principale, e quindi la principale voce di costo, è il lavoro umano, e anzi, quanto più il servizio richiesto è evoluto e complesso, tanto maggiore e tanto più irriducibile è la quota di costo dovuta al lavoro umano. Nella sanità il costo del lavoro è molto elevato a causa del grande numero di addetti necessario e della elevata professionalità richiesta; ma il paese attraversa una grave crisi economica, chi va in pensione non viene sostituito e chi rimane deve farsi carico del servizio. Il fatto che l’Italia usufruisca di una deroga (oggi scaduta) alla normativa europea deve far riflettere: gli “altri” hanno un numero di addetti alla Sanità, per migliaio di abitanti, maggiore del nostro. Questo è particolarmente vero per il personale infermieristico che secondo i dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità in Italia è poco più della metà (per migliaio di abitanti) che in Francia o in Germania.
Se lo Stato aumenta compiti e doveri dei lavoratori e riduce le assunzioni, i lavoratori dei servizi, e in particolare della sanità, avranno sempre fretta: dovranno erogare più prestazioni in meno tempo. In un post precedente su questo giornale avevo citato il caso del Pronto Soccorso del Policlinico Umberto I di Roma, ristrutturato sulla base di una previsione di 60.000 prestazioni all’anno, ma costretto ad erogarne 140.000 a causa della chiusura di ospedali più piccoli per mancanza di personale. Dice il proverbio che presto e bene non vanno insieme: nessuno può pensare che la qualità della prestazione erogata sia la stessa se il volume delle prestazioni che una struttura o un lavoratore deve erogare raddoppia. Purtroppo il problema della sanità pubblica, portato alla luce dallo scadere della deroga alla normativa europea è generalizzato: in Italia tutti i servizi pubblici sono sottodimensionati e in tutti i lavoratori devono lavorare in fretta, in genere a discapito della qualità del servizio fornito al cittadino.
Gli esempi personali hanno soltanto un valore aneddotico; ma io ricordo che quando vinsi il concorso ed entrai all’Università (nel 2000) tenevo due corsi all’anno, e seguivo circa un centinaio di studenti; oggi tengo cinque corsi all’anno e seguo cinquecento studenti, perché i colleghi che sono andati in pensione non sono stati sostituiti. Il tempo che io potrò dedicare a ciascuno dei miei studenti quest’anno è un quinto di quello che era quindici anni fa.
I governi che si sono succeduti alla guida del paese negli ultimi anni hanno entusiasticamente adottato la visuale suggerita dall’ex ministro Renato Brunetta: la cattiva qualità del servizio pubblico in Italia è dovuta alla presenza di lavoratori fannulloni e il rimedio è la punizione generalizzata. L’analisi è sbagliata e il rimedio è inefficace, ma lo scopo della soluzione Brunetta non è risolvere il problema ma stornare l’attenzione del pubblico dalle responsabilità politiche dei governi; e poiché esempi di lavoratori fannulloni, che timbrano il cartellino e poi vanno a spasso ce ne sono, non è difficile presentarne il caso come se fosse la regola.
E’ ovvio a chi ci ragiona su un attimo che il pubblico dipendente fannullone non può essere la regola: infatti in Italia i servizi in qualche modo funzionano (la sanità italiana è tra le primissime nel mondo in tutte le classifiche internazionali, ad es. è seconda nel mondo in quella dell’Organizzazione Mondiale della Sanità: e lo stesso vale per la ricerca: nonostante la scarsità del personale addetto (se il personale fosse abbondante non avremmo bisogno della deroga dalle normative europee), e questi due dati dimostrano che mediamente i dipendenti pubblici lavorano. In fretta.