Nella vicenda di Quarto l’aspetto meno convincente della linea difensiva del M5S è stato e continua ad essere (vedi l’intervento di Valeria Ciarambino a Bersaglio Mobile de La 7) il ricorso a una argomentazione petulante che risale al Corrierino dei Piccoli del tempo che fu: “Chi lo dice lo è, cento volte più di me”.

Si chiama strategia del diversivo. Fermo restando che se nel comune campano le vicende – come minimo – sono state gestite all’insegna della maldestraggine, la realtà non cambia (e soprattutto non si sana) contrapponendogli le malefatte piddine in qualche decina di altre amministrazioni comunali. Gravissime ma non assolutorie.

Dopo di che si può aggiungere che la “Quarto connection” è un episodio tutto sommato insignificante, che ha solo evidenziato l’urgenza di rivisitare i criteri con cui il Movimento seleziona il proprio personale rappresentativo; la necessità di migliorare la catena di comando apprendendo tecnologie politiche un po’ meno improvvisate. Mentre l’utilizzo del diversivo come alibi è questione a parte: rivela sudditanza nei confronti delle tecniche argomentative della politica politicante, che va segnalato come pericoloso inquinamento della trasparenza. E dell’autocritica.

Quell’inquinamento che l’ufficio colpi bassi e porcate del quartier generale renziano pratica con una intensità crescente e altamente preoccupante, visto che si ispira a precedenti internazionali che infersero colpi gravissimi al sistema informativo (il fenomeno della cosiddetta stampa “embedded”), rendendo pressoché impossibile una ricostruzione minimamente plausibile della veridicità in tutta una serie di questioni decisive. Con aspetti degenerativi diventati strutturali, da cui sembra ormai impossibile che il discorso pubblico riesca a emendarsi.

Di stampa “embedded” se ne parlò al tempo dell’infausta invasione dell’Iraq, promossa da Bush jr. per conto dell’entourage affaristico che lo circondava alla Casa Bianca, quando si giustificarono le peggiori idiozie (oltre che malefatte) con “armi di distruzione di massa” mai esistite. Ma avvallate dalla stampa sotto minaccia di non apparire sufficientemente patriottica nella lotta al terrorismo (che veniva identificato in Saddam Hussein come pura operazione diversiva dell’impotenza Usa contro un nemico inafferrabile). Tuttavia – come spesso accade in questa desolata stagione NeoLib – la madrina di tali operazioni ingannevoli resta sempre Margareth Thatcher, quando depistò l’attenzione dei britannici dai guai interni con la sirena nazionalistica e spedendo la Royal Navy all’altro capo del mondo per riconquistare all’arma bianca uno scoglio chiamato Malvinas-Falkland.

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Epigono di tali colossi dell’inganno mediatizzato, Matteo Renzi mette all’opera la strategia del diversivo per sviare l’attenzione dal pasticcio degli istituti di credito con capofila Banca Etruria, per contrastare l’avanzata del M5S segnalata dai sondaggi. Da qui la duplice manovra: come dice Mentana, l’ordine “scatenate l’inferno” a Quarto, tipo Russell Crowe ne il Gladiatore, per mettere nei guai i pericolosi competitori nazionali; al tempo stesso attizzando una rissa simulata con Junker a Bruxelles per suonare la grancassa patriottica che riporti allo spirito di unità nazionale filogoverntiva un elettorato sconcertato da una leadership – a dir poco – faccendiera.

Il tutto, dato che il team renziano ha visto molti film di Hollywood, raccontato come cronaca guerresca yankees contro musi gialli: già a Quarto si è vista all’opera la task force di incursori, guidata da Pina Picerno nel remake di “Soldato Jane”, assaltare il consiglio comunale con improbabili cartelli inneggianti all’onestà. Presto Renzi in divisa da contrammiraglio (remake di Thatcher rediviva) saluterà dalle banchine di Livorno, risistemate a set del porto di Plymouth, il contingente scelto che sotto l’impavida guida di Filippo Sensi e Luca Lotti andrà a bombardare Bruxelles. Bountykillerando la collaborazionista Federica Mogherini.

Intanto la comica continua. Sicché, per contrastare la strategia del diversivo, invece che contro-diversivi si consiglia vivamente la pratica della demistificazione. Con l’aggiunta di un briciolo di autocritica; e – magari – qualche risata liberatoria.

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