I manager che impediscono ai revisori di verificare lo stato di salute della loro società o di accertare irregolarità, nascondendo documenti o utilizzando “altri artifici”, non commettono più reato. La sanzione, quella sì, rimane. Ma più bassa: da 10mila a 50mila euro contro i 75mila euro massimi previsti fino a oggi. A stabilirlo è il pacchetto depenalizzazioni varato venerdì in via definitiva dal governo Renzi. Che, nonostante nei giorni precedenti si rincorressero indiscrezioni su una possibile marcia indietro, esclude anche la rilevanza penale dell’omessa identificazione e registrazione della clientela ai fini dell’antiriciclaggio da parte di banche, Poste, società di gestione del risparmio, compagnie di assicurazione. In questo caso la multa sale però fino a un massimo di 30mila euro, contro l’attuale forchetta che va da 2.600 a 13mila euro. Stop al penale anche per l’omesso versamento delle ritenute previdenziali e assistenziali fino a 10mila euro, per l’emissione di assegni da parte di istituti non autorizzati e per il contrabbando di merci per via aerea e marittima.

Le novità per gli amministratori e gli intermediari finanziari sono passate quasi sotto silenzio perché l’attenzione si è concentrata sulla riduzione a illecito amministrativo del mancato rispetto dell’autorizzazione a coltivare cannabis a uso terapeutico e sulla polemica per il dietrofront sul reato di immigrazione clandestina. Ma a ben guardare i decreti legislativi che eliminano dal codice penale e dalle leggi speciali decine di reati avranno un impatto non indifferente anche in quegli ambiti. Se ne è accorto anche il ministero della Giustizia che in serata ha fatto sapere di essere “disponibile a ricalibrare la sanzione” per i manager che ostacolano i revisori. Domenica mattina gli uffici di via Arenula hanno poi diffuso una ulteriore precisazione: a uscire dal perimetro del penale è solo il primo comma dell’articolo 29 del decreto del 2010 sulla revisione legale dei conti, quello che punisce la “condotta di pericolo”. Cioè il fatto, in sé e per sé, di aver impedito il controllo. Non rientravano invece nell’ambito della delega i due commi successivi, che prevedono l’arresto fino a 18 mesi (3 anni nel caso in caso di enti di interesse pubblico) quando la condotta abbia oggettivamente “cagionato un danno ai soci o a terzi”.

La contraddizione sull’impedito controllo: governo abbassa anche la multa – Il colpo di spugna sull’articolo 29 depenalizza l’“impedito controllo”, che il legislatore punisce con l’obiettivo di garantire l’affidabilità e la veridicità del giudizio dei revisori. Da ora in poi, a meno che non sia stato causato un danno ai soci o a terze parti, i membri del consiglio di amministrazione che impediscono l’acquisizione di informazioni sulla situazione economica, patrimoniale e finanziaria della società o l’accertamento di irregolarità avranno solo un’ammenda, peraltro più bassa di prima. Il che contraddice l’obiettivo dichiarato dell’esecutivo, che è lo stesso invocato per spiegare la scelta di alzare le soglie di punibilità di diversi reati fiscali: meglio colpire subito il portafoglio e incassare il dovuto che aspettare i tempi lunghi del procedimento penale. Una filosofia che in realtà non è stata applicata a tutti i reati. Il governo ha usato la mano pesante, per esempio, su fattispecie delicate come l’aborto clandestino: la donna che vi si sottopone, punita finora con una multa simbolica di 51 euro, dovrà da ora in poi pagarne da 5mila a 10mila.

Stop al penale per chi viola l’antiriciclaggio – Sul fronte dell’antiriciclaggio, non rischiano più la prigione gli intermediari, i professionisti e i revisori che non rispettano gli obblighi previsti dal decreto 2007 con cui l’Italia ha recepito la direttiva europea sulla “prevenzione dell’utilizzo del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività criminose e di finanziamento del terrorismo“. Perdono rilevanza penale la mancata “verifica della clientela”, obbligatoria tra l’altro quando quando “vi è sospetto di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo” e quando quei soggetti “eseguono operazioni occasionali disposte dai clienti che comportino la trasmissione o la movimentazione di mezzi di pagamento di importo pari o superiore a 15.000 euro”. Solo multe anche per chi non ha registratoconservato in un archivio informatico la documentazione servita per la verifica e l’identificazione del cliente stesso e per i revisori e sindaci che non comunicano alle autorità di vigilanza “gli atti o i fatti” che possono costituire violazione delle norme antiriciclaggio.

I dubbi di Bankitalia e i casi Etruria e Iw Bank – Nei giorni scorsi si era parlato di “incomprensioni” tra uffici legislativi, con l’Unità di informazione finanziaria della Banca d’Italia contraria alla depenalizzazione. Anche perché nel frattempo è al lavoro su una riforma complessiva degli obblighi in materia un tavolo coordinato dal sottosegretario all’Economia Enrico Zanetti. Alla fine però il restyling è passato comunque. E la depenalizzazione arriva a poche settimane dalla notizia che l’ultima ispezione di Bankitalia in Banca Etruria, l’istituto salvato per decreto e di cui è stato vicepresidente Pier Luigi Boschi, ha fatto emergere tra il resto la presenza di “25mila rapporti da regolarizzare” proprio ai fini della “individuazione del titolare effettivo” sulla base delle norme antiriciclaggio. Mentre all’inizio di dicembre tredici dipendenti di Iw Bank sono stati iscritti nel registro degli indagati per riciclaggio perché, anche in questo caso, gli ispettori di via Nazionale hanno scoperto 104mila corti non in regola con la normativa sulla verifica dell’identità dei clienti.

Articolo aggiornato il 17 gennaio 2016

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