Il premier ha anticipato che i decreti attuativi della riforma della pubblica amministrazione permetteranno di licenziare subito gli assenteisti colti in flagrante. Secondo il segretario generale della Confsal-Unsa "giusto che paghi chi commette reati" ma non si può "limitare il diritto alla difesa". Fp Cgil: "Due giorni per licenziare ma aspettiamo da sei anni il rinnovo del contratto"
La fuga in avanti del presidente del Consiglio Matteo Renzi sul pugno duro contro i dipendenti pubblici assenteisti scatena le reazioni dei sindacati. Il premier sabato, partecipando a una cerimonia alla Reggia di Caserta, ha ripetuto quanto annunciato venerdì al Tg5: i primi decreti attuativi della riforma della pubblica amministrazione, che il consiglio dei ministri dovrebbe varare mercoledì prossimo dopo l’ennesimo rinvio, sanciranno la possibilità di “licenziare entro 48 ore chi viene beccato a timbrare il cartellino e andarsene”. Una risposta a casi come quello dei funzionari e impiegati assenteisti del comune di Sanremo e al più recente scandalo dei dipendenti del museo di Arti popolari della Capitale filmati mentre marcavano la presenza e poi lasciavano il lavoro.
La legge delega prevede esplicitamente che l’esecutivo debba introdurre norme in tema di responsabilità dei dipendenti “finalizzate ad accelerare, rendere concreto e certo nei tempi di espletamento e di conclusione l’esercizio dell’azione disciplinare” e che il dirigente che non interviene sia chiamato a risponderne. Ora l’intenzione del governo è di introdurre una stretta più decisa per i casi di flagranza del reato: l’idea è di far scattare uno subito la sospensione cautelare, accompagnata dall’interruzione del pagamento dello stipendio.
Immediata la reazione del sindacato autonomo Confsal-Unsa: il segretario generale Massimo Battaglia ha subito diffuso una nota in cui dopo aver “premesso che chi si rende responsabile di reati è giusto che paghi anche con il licenziamento”, “ricorda” al governo che “le norme già esistono e che sono già ‘concrete e certe’, tanto che prevedono la responsabilità disciplinare del dirigente che non le attua”. “Non vorremmo che l’interesse del presidente Renzi di apparire a fini mediatici ed elettorali quale grande riformatore – continua Battaglia – porti all’adozione di norme che limitano il diritto alla difesa dei lavoratori pubblici. Ripeto: chi sbaglia è giusto che paghi”, conclude la nota, “ma basta con questo continuo attacco ai dipendenti pubblici, che per la stragrande maggioranza sono lavoratori encomiabili, che in situazioni spesso drammatiche, per carenza di mezzi e organici, mandano avanti la macchina pubblica tra mille difficoltà create dalla stessa classe politica che li attacca”.
Il segretario generale della Fp Cgil, Rossana Dettori, ha invece auspicato che il provvedimento annunciato da Renzi “nel rispetto del garantismo preveda procedure giuste ed eque: viviamo pur sempre in uno stato di diritto”. Ma ha poi preferito concentrarsi sul problema del blocco degli stipendi: “Non possiamo non notare come il premier parli di 48 ore per il licenziamento mentre i lavoratori pubblici, quella ‘stragrandissima maggioranza’ di onesti che lui cita, attendano da oltre sei anni i rinnovi, per non parlare di una sentenza della Consulta che denuncia l’illegittimità del blocco e che di certo non meritano gli spicci previsti nella legge di stabilità”.
“Non capisco le polemiche dei sindacati”, ha ribattuto Renzi. “Questo è un fatto di buon senso e di correttezza perché è l’unico modo che permette a tutti gli altri di poter essere guardati a testa alta. La pubblica amministrazione deve essere un esempio. Gli uomini e le donne onesti hanno bisogno di sentire lo Stato al proprio fianco. Finché la pa non sarà un esempio straordinario in tutto il mondo – lo è già, in alcuni casi – noi non saremo mai liberi da attacchi. Il che significa investire tante risorse ma anche valorizzare le donne e gli uomini che lavorano nella pa”.
La polemica arriva peraltro dopo che, a dicembre, la Cassazione ha stabilito che lo Statuto dei lavoratori, comprese le successive modifiche, si applica interamente agli statali. Vale a dire che, essendo stato abolito l’articolo 18, se licenziati avranno diritto al reintegro nel posto di lavoro solo in casi eccezionali. Un effetto collaterale che Marianna Madia, ministro della Pubblica amministrazione, ha sempre negato sostenendo che quella parte del Jobs Act non si applica al pubblico impiego in quanto “c’è una differenza sostanziale che è il tipo di datore di lavoro”. Madia aveva anticipato che proprio i provvedimenti attuativi della riforma della pa avrebbero chiarito questo aspetto.