Pechino, che ha presentato l'unica offerta vincolante per il 67% del capitale, vuole investire 350 milioni nello scalo ellenico e farne il punto di approdo delle merci in arrivo dalla Repubblica popolare. Che però dovrebbero essere trasportate verso il centro Europa attraverso la Penisola, che è lo Stato-ponte più vicino. Ma i nostri porti non sono pronti
Una delle maggiori società di logistica del pianeta, la Cosco Cina, che dispone di 174 navi porta-container operanti in 162 porti di 49 paesi, è l’unica candidata alla privatizzazione del porto greco del Pireo di cui utilizza già il 33% dei moli containers. All’apertura delle buste l’unica offerta presente era proprio del colosso cinese. E così se l’affare andrà in porto (burocrazia ellenica permettendo) a stretto giro giungerebbero nel Mediterraneo e a due passi dall’Italia ancora più container a settimana, che i cinesi scaricherebbero in Grecia anziché nella più lontana Rotterdam. Con un vantaggio per Pechino (ma non solo) in termini di tempi e di costi.
Cosco Group ha presentato l’unica offerta vincolante per il 67% del capitale sociale di Porto del Pireo Organization e ora è invitata a sedersi al tavolo dei negoziati con il governo per la parte più complessa: garantire, come chiede Atene, il maggior beneficio economico possibile allo Stato greco. Il fatto che i cinesi abbiano presentato l’unica offerta, secondo fonti governative, non è stata una sorpresa, vista la passata disponibilità di Pechino (come Mosca) ad accollarsi anche alcuni debiti, manifestata esattamente un anno fa in occasione della prima vittoria elettorale di Alexis Tsipras. Ma nonostante il forte interesse da parte dei danesi di APM Terminals (controllata da AP Moeller e Maersk) e dai filippini di Container Terminal Services, l’offerta di Cosco era l’unica sostenibile, dal momento che gestisce già alcuni moli. Mercoledì prossimo ad Atene è annunciato un vertice tra l’amministratore delegato di Cosco e il governo per valutare margini di miglioramento, anche se i cinesi un’offerta precisa già l’hanno fatta in sede di proposta contenuta nella busta.
Atene però punta sulle mutate condizioni e sul contesto della gara, come l’esclusione dalla privatizzazione della zona costiera di Drapetsona. Ci sarebbero anche le condizioni economiche generali in Grecia che sono cambiate in modo significativo rispetto al periodo in cui il dialogo era stato avviato. Inizialmente Cosco si era detta disponibile a investire 350 milioni nel porto del Pireo, per sviluppare il comparto crocieristico grazie a nuovi progetti portuali (serbatoi per le riparazioni di navi, modernizzazione del terminal delle auto e nuove infrastrutture nel bacino di manutenzione). Ma a condizione di completare l’iter burocratico entro marzo, termine che la farraginosa burocrazia greca potrebbe non rispettare. Contrari alla privatizzazione i sindacati: secondo la Federazione dei Dipendenti Porti Greci il contratto di concessione contiene offerte finanziarie “prive di qualsiasi legittimità che non tutelano l’interesse pubblico.”
Il Pireo è il più grande porto della Grecia e uno dei più importanti del Mediterraneo orientale, meno dei grandi porti del nord Europa, ma rispetto a questi molto più facilmente alla portata dei container cinesi che passano attraverso il Canale di Suez. Inoltre la Grecia è vicina a mercati emergenti come quelli della Turchia, dell’Europa orientale e dei Balcani. A quel punto l’Italia, in quanto Stato-ponte più in prossimità, sarebbe pronta a ricevere quella valanga di container per poi farli transitare, su rotaia, sulla dorsale adriatica o tirrenica, con destinazione centro Europa? Entrambe le opzioni disponibili appaiono difficilmente percorribili. Lo scalo calabrese di Gioia Tauro è di fatto tagliato fuori dal piano della logistica nazionale voluto da Palazzo Chigi, con la conseguenza che averlo fatto rientrare nella zona economica speciale ha cambiato poco: ancora niente presidente, ancora un commissario straordinario e assenza di una bretella stradale affidabile, visti i tempi della Salerno-Reggio. Taranto, che da un punto di vista infrastrutturale avrebbe le carte in tavola (moli Ilva più autostrada A14), è invece zavorrata dal caso giudiziario della stessa Ilva che non consente al momento di fare progetti di lungo termine.
Twitter @FDepalo