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Isis, nuova strage in Siria. L’analista Carlino: “Risposta alla perdita di Ramadi e per il controllo delle riserve di greggio”

Dietro l'offensiva delle bandiere nere ci sarebbe la risposta alla perdita di Ramadi ma anche il tentativo di mantenere il controllo su un'area essenziale a tenere aperta la tratta del petrolio siriano e a unire i fronti dello Stato Islamico. E tuttavia "anche se fosse colpita e sottratta ai miliziani, l'Isis non sarebbe in ginocchio"

“Un’offensiva collegata alla perdita di Ramadi. “Un messaggio chiaro rivolto ai propri rivali per il controllo dell’area strategica”, quella di Deir ez-Zor, sia per i collegamenti tra Raqqa e le terre del Califfato in Iraq che per lo sfruttamento dei giacimenti di petrolio siriani. Così Ludovico Carlino, analista del think tank americano Ihs ed esperto di terrorismo, Medio Oriente e Nord Africa, giudica l’ultimo atto di violenza dello Stato Islamico nei confronti degli abitanti di al-Bughailiyeh che ha provocato almeno 300 morti, di cui 150 decapitati, e 400 ostaggi. “Perdere totalmente il controllo di quest’area – spiega Carlino – avrebbe certamente serie implicazioni per le finanze del gruppo. Ma non tali, a mio giudizio, da metterlo completamente in ginocchio”.

L’offensiva delle bandiere nere deve essere interpretata come una risposta alla recente perdita di Ramadi, a fine 2015, una delle sconfitte più pesanti dell’anno per i jihadisti del Califfato. “Anche in passato – continua l’analista -, ogni volta che il gruppo ha perso il controllo di un territorio rilevante ha poi risposto lanciando una nuova offensiva altrove. Da una parte per attutire il colpo subito, dall’altra per dimostrare che la sconfitta in un singolo fronte non equivale a una battuta d’arresto nel progetto califfale”. Così si spiega anche la ferocia con la quale i miliziani in nero si sono scagliati sul villaggio controllato dalle forze governative, con le lame e i proiettili del Califfato che non hanno risparmiato donne e bambini. “Li hanno uccisi casa per casa”, hanno testimoniato alcuni attivisti locali, aggiungendo che i corpi sono stati gettati nel fiume Eufrate, mentre alcuni kamikaze si sono fatti esplodere vicino a edifici governativi. “Si tratta chiaramente di un messaggio rivolto ai propri rivali – dice Carlino – Lo Stato Islamico punta a diffondere la paura tra i propri oppositori in modo da fiaccare ogni possibilità di resistenza immediata e futura. E lo fa senza alcuna distinzione di fede religiosa, come dimostrato dal presunto rapimento anche di musulmani sunniti”.

L’offensiva dei terroristi, però, fa parte di una battaglia più lunga, quella per il controllo dei ricchi giacimenti di petrolio nell’area di Deir e-Zor, e che si è intensificata negli ultimi mesi grazie anche ai raid russi e della coalizione occidentale che hanno colpito diverse strutture in mano agli uomini di Abu Bakr al-Baghdadi. “Il cambio di strategia da parte della coalizione Usa sembra suggerire questo – spiega l’analista – I raid contro i pozzi petroliferi e i convogli che trasportano petrolio per Isis sono visibilmente aumentati negli ultimi due mesi, soprattutto nella provincia di Deir ez-Zor, dalla quale derivano almeno i due terzi della produzione di greggio di Daesh”. Il controllo di quell’area, inoltre, permette ai miliziani in nero di mantenere una contiguità territoriale tra i territori siriani e quelli iracheni. Viceversa, nella sua parte meridionale il Califfato rischierebbe di spezzarsi in due aree di controllo slegate che, così, non potrebbero comunicare tra loro e spostare truppe e risorse sui vari fronti del conflitto.

Nonostante il ruolo strategico ricoperto dall’area di Deir ez-Zor, sia economicamente che territorialmente, un’eventuale sconfitta di Isis, dice l’analista, non sarebbe comunque sufficiente a colpire fatalmente le finanze del Califfato. “Perdere il controllo di quest’area avrebbe certamente serie implicazioni per le casse del gruppo – conclude Carlino -, ma non tale a mio giudizio da metterlo completamente in ginocchio. Ѐ bene ricordare come la produzione e la vendita di greggio rappresentino circa il 44% delle entrate del gruppo. In assenza di una strategia che vada direttamente a colpire gli altri canali di finanziamento, come tassazione e confische ai danni della popolazione che vive nei territori controllati dal gruppo, lo Stato Islamico sarà probabilmente in grado di continuare ad avere un flusso più o meno costante di risorse economiche”.

Twitter: @GianniRosini