“Voi siete i nostri fratelli e le nostre sorelle maggiori”. Papa Francesco ha fatto sua la celebre espressione di Karol Wojtyla nella sua storica prima visita alla Sinagoga della Capitale. “Come vescovo di Roma – ha subito affermato Bergoglio – desidero esprimere a voi, estendendolo a tutte le comunità ebraiche, il saluto fraterno di pace di questa Chiesa e dell’intera Chiesa cattolica” e ribadendo anche un fermo “no a ogni forma di antisemitismo, condanna di ogni ingiuria, discriminazione e persecuzione che ne derivano”. Bergoglio ha sottolineato che “tutti quanti apparteniamo a un’unica famiglia, la famiglia di Dio, il quale ci accompagna e ci protegge come suo popolo. Insieme come ebrei e come cattolici siamo chiamati ad assumerci le nostre responsabilità per questa città, apportando il nostro contributo, anzitutto spirituale e favorendo la risoluzione dei diversi problemi attuali. Mi auguro – ha aggiunto il Papa – che crescano sempre più la vicinanza, la reciproca conoscenza e la stima tra le nostre due comunità di fede”.
Esattamente sei anni dopo la visita di Benedetto XVI, Bergoglio è stato il terzo Pontefice a varcare la soglia del Tempio Maggiore di Roma. “Conflitti, guerre, violenze e ingiustizie – ha affermato Francesco nel suo discorso – aprono ferite profonde nell’umanità e ci chiamano a rafforzare l’impegno per la pace e la giustizia. La violenza dell’uomo sull’uomo è in contraddizione con ogni religione degna di questo nome, e in particolare con le tre grandi religioni monoteistiche. La vita è sacra quale dono di Dio. Il quinto comandamento del Decalogo dice: ‘Non uccidere’. Dio è il Dio della vita, e vuole sempre promuoverla e difenderla; e noi, creati a sua immagine e somiglianza, siamo tenuti a fare lo stesso. Ogni essere umano, in quanto creatura di Dio, è nostro fratello, indipendentemente dalla sua origine o dalla sua appartenenza religiosa. Ogni persona va guardata con benevolenza, come fa Dio, che porge la sua mano misericordiosa a tutti, indipendentemente dalla loro fede e dalla loro provenienza, e che si prende cura di quanti hanno più bisogno di lui: i poveri, i malati, gli emarginati, gli indifesi. Là dove la vita è in pericolo, – ha sottolineato Bergoglio – siamo chiamati ancora di più a proteggerla. Né la violenza né la morte avranno mai l’ultima parola davanti a Dio, che è il Dio dell’amore e della vita. Noi dobbiamo pregarlo con insistenza affinché ci aiuti a praticare in Europa, in Terra Santa, in Medio Oriente, in Africa e in ogni altra parte del mondo la logica della pace, della riconciliazione, del perdono, della vita”.
Prima di entrare nella Sinagoga il Papa si è fermato davanti la lapide che ricorda quando, il 16 ottobre 1943, le SS invasero il ghetto e deportarono 1024 ebrei romani nel campo di sterminio di Auschwitz e ha poi sostato in preghiera nel luogo dove avvenne l’attacco terroristico alla Sinagoga nel 1982 che causò la morte del piccolo Stefano Gay Taché. “Il popolo ebraico, nella sua storia, – ha sottolineato Bergoglio – ha dovuto sperimentare la violenza e la persecuzione, fino allo sterminio degli ebrei europei durante la Shoah. Sei milioni di persone, solo perché appartenenti al popolo ebraico, sono state vittime della più disumana barbarie, perpetrata in nome di un’ideologia che voleva sostituire l’uomo a Dio. Il 16 ottobre 1943, oltre mille uomini, donne e bambini della comunità ebraica di Roma furono deportati ad Auschwitz. Oggi desidero ricordarli in modo particolare: le loro sofferenze, le loro angosce, le loro lacrime non devono mai essere dimenticate. E il passato ci deve servire da lezione per il presente e per il futuro. La Shoah ci insegna – ha concluso Francesco – che occorre sempre massima vigilanza, per poter intervenire tempestivamente in difesa della dignità umana e della pace. Vorrei esprimere la mia vicinanza ad ogni testimone della Shoah ancora vivente; e rivolgo il mio saluto particolare a coloro che sono oggi qui presenti”.
Il rabbino capo di Roma Riccardo Di Segni ha ricordato che la Sinagoga della Capitale fu edificata “a segno della libertà ottenuta dopo secoli di restrizioni e di umiliazioni” e che è stata “offesa dai nazisti e insanguinata dal terrorismo palestinese”. Per Di Segni “il terzo Papa a visitare la nostra Sinagoga conferma la validità e l’intenzione del gesto del primo Papa che voleva significare la rottura con un passato di disprezzo nei confronti dell’ebraismo; l’intuizione di Giovanni Paolo Il fu quella di tradurre in gesti concreti e messaggi essenziali e comprensibili a tutti le difficili elaborazioni dottrinali del Concilio. La sua visita alla Sinagoga ebbe questo ruolo e a sua volta aprì la strada per il riconoscimento dello Stato d’Israele. Il Papa successivo, Benedetto, ha voluto confermare questa linea; ora la scelta di Francesco stabilisce una consuetudine. Interpretiamo tutto questo nel senso che la Chiesa cattolica non intende tornare indietro nel percorso di riconciliazione. L’impegno personale di Papa Francesco lo conferma, nei molti segni di attenzione che ha dimostrato nei confronti dell’ebraismo, da Buenos Aires come arcivescovo a Roma come Papa”.
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