La prospettiva di un aumento dell'offerta, mentre i prezzi sono ai minimi da 12 anni, ha mandato in rosso i listini di Dubai, del Qatar, di Abu Dhabi e dell’Arabia Saudita. Ryad da inizio anno ha lasciato sul terreno il 20%. La ripresa dei rapporti commerciali dovrebbe invece andare a vantaggio dei gruppi italiani del petrolio, del settore auto, dell'immobiliare e dell'agroalimentare
Il giorno dopo la fine delle sanzioni, l’Iran ha annunciato di aver avviato un piano per aumentare l’export di petrolio. La decisione era attesa, ma la prospettiva spaventa comunque gli altri Paesi esportatori già alle prese con ricavi in caduta libera a causa del crollo dei prezzi del barile in un mercato in cui l’offerta supera già di gran lunga la domanda. Lo dimostra il fatto che le borse del Golfo hanno chiuso la seduta in forte calo: il listino di Dubai ha lasciato sul terreno il 4,6%, quello del Qatar il 7,2%, quello di Abu Dhabi il 4,2% mentre il paniere Tadawul dell’Arabia Saudita ha ceduto il 5,4%. Bene solo Teheran, che ha guadagnato lo 0,9%. Ryad, il listino più grande del Medio Oriente, ha perso il 20% in gennaio dopo che il Paese ha chiuso il 2015 con un deficit di bilancio record, che l’ha costretto ad annunciare un taglio alla spesa e ai sussidi pubblici. Doha ha perso il 18% da inizio anno e Dubai il 15%.
“Il ministero del petrolio, ordinando alle società di aumentare la produzione e ai terminali i prepararsi alle spedizioni, ha dato il via oggi al piano per aumentare l’export di greggio dell’Iran di 500mila barili al giorno“, ha fatto sapere, come riporta Bloomberg, l’agenzia ufficiale iraniana Irna. Il vice ministro del Petrolio, Amir Hossein Zamaninia, ha spiegato che il piano è “tuttora valido” e sarà attuato “in modo da minimizzare l’impatto negativo” sui prezzi del petrolio.
La ripresa dei rapporti commerciali multilaterali in seguito all’intesa tra Teheran e le potenze occidentali sul nucleare dovrebbe invece andare a vantaggio dei Paesi europei. Per l’Italia un rapporto del gruppo pubblico Sace pubblicato a luglio prevede una crescita dell’export fino a 3 miliardi di qui al 2018 grazie alle opportunità che si apriranno nella Repubblica islamica per le aziende della Penisola. Eni, che prima dell’embargo era attiva in Iran dal 1957, lo scorso autunno ha firmato una bozza di memorandum di intesa per l’espansione della cooperazione bilaterale nel campo delle perforazioni petrolifere con la National Iranian Drilling Company. Particolarmente interessati anche il comparto automobilistico, la difesa, i trasporti, il settore immobiliare e le costruzioni. Infine Coldiretti, sulla base delle stime di Nomisma, prefigura un raddoppio dell’export di prodotti agroalimentari made in Italy in Iran, fino a raggiungere i 40 milioni di euro nel 2018. Occorre comunque tener conto che tra 2011 e 2014 gli scambi tra Italia e Iran sono crollati da 7,2 a 1,6 miliardi, per cui un recupero di 3 miliardi in tre anni non basterebbe comunque per appianare le perdite accumulate a causa delle restrizioni commerciali.