“Continuano a non essere riconosciute le attività di autofinanziamento delle organizzazioni che non prendono soldi dallo Stato: il rischio è che gli scandali tipo Mafia Capitale, che hanno coinvolto alcune cooperative, penalizzino soggetti che stanno in piedi con le loro forze. E il Consiglio nazionale del terzo settore, previsto dai nuovi emendamenti, non deve avere compiti di rappresentanza: sarebbe una scelta poco democratica e poco liberale”. Pietro Barbieri, portavoce del Forum nazionale del terzo settore, ha diversi dubbi sull’evoluzione del disegno di legge delega sulla riforma del terzo settore, tornato all’esame della commissione Affari costituzionali del Senato dopo la pausa natalizia e appesantito da oltre 700 emendamenti. Matteo Renzi, durante la conferenza stampa di fine anno, ha garantito l’approvazione della riforma nel 2016: “Sarà l’anno dei valori”, è stata la promessa. Peccato che un anno fa il governo annunciasse che il ddl, a cui dovranno seguire i decreti attuativi, sarebbe stato approvato entro la fine del 2015. Invece il testo, licenziato dalla Camera lo scorso aprile, è impantanato a Palazzo Madama da ben nove mesi tra continui rinvii e riscritture. Tanto che lo stesso sottosegretario al lavoro e alle Politiche sociali, Luigi Bobba, ha riconosciuto che “l’emergenza è sui tempi” e ha invitato le organizzazioni a “protestare davanti al Senato”.
Su vigilanza e controllo deciderà il governo – L’ultima novità è che il relatore Stefano Lepri (Pd), sostenitore della possibilità di riconoscere a chi voglia investire in un’impresa sociale una remunerazione fino al 5%, ha riformulato quasi tutte le proposte di modifica a sua firma presentate lo scorso anno. Lepri ha fatto dietrofront su alcune fughe in avanti criticate tra l’altro dalla deputata Pd Donata Lenzi, capogruppo in commissione Affari sociali e relatrice del ddl alla Camera, ma ha lasciato irrisolte altre perplessità e ne ha create di nuove. “Viene lasciato a un successivo decreto del governo il compito di fissare le modalità per l’esercizio della vigilanza e del controllo sugli enti, compito del ministero del Lavoro”, spiega per esempio Flaviano Zandonai, segretario generale di Iris Network, la rete nazionale degli istituti di ricerca sull’impresa sociale. “Secondo me sarebbe stata una buona idea coinvolgere con il ruolo di regolatore le Camere di commercio, ma l’esecutivo ha deciso invece di ridimensionarle”.
“Delega in bianco” anche sui settori di attività delle imprese sociali – Un altro emendamento precisa che spetterà ai decreti attuativi anche definire i confini entro cui potranno operare le imprese sociali, mentre inizialmente la delega prevedeva già un ampliamento dei settori di attività a quelli del commercio equo e solidale, dei servizi per il lavoro finalizzati all’inserimento dei lavoratori svantaggiati, dell’alloggio sociale e dell’erogazione del microcredito. Per Zandonai “fare una lista chiusa poteva essere controproducente, ma sarebbe stato opportuno stabilire almeno dei macro ambiti di attività: in questo modo si concede in pratica una delega in bianco“.
La rappresentanza affidata a un nuovo Consiglio nazionale – A preoccupare il Forum, invece, è soprattutto il mancato riconoscimento delle attività di autofinanziamento, che è “la modalità principale con cui l’associazionismo italiano si sostenta”. Questo equivale, secondo Barbieri, a “equiparare le associazioni e fondazioni che svolgono attività di impresa a società di capitali, snaturandone il ruolo e mettendo a rischio la parte non commerciale: penso allo sport e al turismo sociale”. Quanto alla creazione di un Consiglio nazionale del terzo settore, definito come “organismo unitario di consultazione degli enti” e chiamato anche a scrivere le linee guida sulla valutazione dell’impatto sociale delle attività, per Barbieri si tratta di una “retromarcia sul tema della rappresentanza, perché i precedenti emendamenti di Lepri prevedevano invece che fossero interpellate le organizzazioni rappresentative del terzo settore. Ben venga uno spazio di confronto con le istituzioni, ma attribuirgli compiti di rappresentanza è poco liberale”. In più Lepri ha anche ritirato la proposta che prevedeva nuove norme ad hoc sui rimborsi spese dei volontari e ne ha presentata un’altra che riduce da 50 a 30 milioni le risorse destinate ad alimentare il Fondo a sostegno delle attività di interesse generale in via di istituzione.
Marcia indietro sulla destinazione degli utili – Barbieri e Zandonai hanno invece apprezzato gli emendamenti su impresa sociale e distribuzione degli utili. Torna, per esempio, l’obbligo per le imprese sociali di “destinare i propri utili prioritariamente allo svolgimento delle attività statutarie” oltre ad “adottare modalità di gestione responsabili e trasparenti” e “favorire il più ampio coinvolgimento dei dipendenti, degli utenti e di tutti i soggetti interessati alle sue attività”. Al contrario il precedente emendamento depositato da Lepri si limitava a definire l’impresa sociale come “ente di Terzo settore, ai sensi dell’articolo 1 comma 1 e dell’articolo 4, che svolge attività imprenditoriale”. Senza nessun paletto sull’utilizzo dell’avanzo di gestione. La nuova formulazione si avvicina al testo uscito dalla Camera, ma lascia fuori la previsione che l’obiettivo primario debba essere “la realizzazione di impatti sociali positivi conseguiti mediante la produzione o lo scambio di beni o servizi di utilità sociale”.
…e un unico tetto massimo per la percentuale di dividendi distribuibile agli azionisti – Quanto ai paletti alla percentuale che sarà possibile distribuire agli azionisti, la nuova formulazione non contiene la possibilità di differenziare “anche in base alla forma giuridica adottata dall’impresa” ma prevede che la remunerazione del capitale sia assoggettata “a condizioni e limiti massimi in analogia con quanto disposto per le cooperative a mutualità prevalente“. E che sia vietato “ripartire eventuali avanzi di gestione per gli enti per i quali tale possibilità è esclusa per legge, anche qualora assumano la qualificazione di impresa sociale”. Ora l’obiettivo, ha detto Lepri, è che la legge veda la luce entro la primavera. Ma restano da sciogliere diversi nodi sull’articolo 4, che elenca i criteri da seguire per il riordino e la revisione della disciplina del terzo settore, e sul 9 che riguarda le agevolazioni fiscali e le misure di sostegno economico.