L'amministratore delegato di Eni contro i No triv: "L'Italia nel 2000 produceva 400 milioni di barili al giorno di olio equivalente. A tredici anni di distanza abbiamo dimezzato perché non c'è la sicurezza di recuperare gli investimenti"
“L’Italia ha avuto un boom negli anni ’50-’60 per il gas in Adriatico e disastri non ce ne sono stati. Sono tutti contenti quando troviamo il gas a Zohr“, nelle acque fra Egitto e Cipro, “ma se si trova a casa nostra sono tutti scontenti. Faccio fatica a capirne le ragioni, quando sono estremizzate: il gas non ha creato disastro e rappresenta il futuro”. Così l’amministratore delegato di Eni, Claudio Descalzi, intervistato a In mezz’ora su Rai Tre ha criticato il movimento anti-trivelle, proprio nei giorni in cui va in scena lo scontro tra il governo, le associazioni ambientaliste e i governatori contrari alle trivellazioni per cercare idrocarburi nel mare Adriatico e in particolare al largo delle Tremiti.
“L’Italia nel 2000 produceva 400 milioni di barili al giorno di olio equivalente. A tredici anni di distanza abbiamo dimezzato”, ha detto Descalzi. “Non si fa più nulla per gli investimenti. Noi non facciamo più pozzi esplorativi dal 2009″, perché “non si ha la sicurezza del recupero degli investimenti”. Il gas estratto in Italia ora “copre il 10% del fabbisogno, ha una sua valenza. Potremmo arrivare al 20%. Non affrontare questo problema, non con gli slogan, ma con un approfondimento serio tra le parti lo trovo sbagliato”, ha concluso. Poco dopo a dargli manforte sono arrivate le dichiarazioni del vicepresidente della commissione Attività produttive della Camera, Ignazio Abrignani, secondo cui servono “regole certe” per consentire al settore di attrarre investimenti italiani e esteri e italiani. “Il problema degli investitori, soprattutto per chi viene da fuori l’Italia, è soprattutto l’incertezza delle regole e dei tempi. Se questa denuncia la fa addirittura un manager italiano la cosa è ancora più grave”, secondo Abrignani. E occorre intervenire “semplificando il sistema attuale, attraverso una riduzione dei centri decisionali”.
”L’energia è un bene nazionale, e quindi va sottoposta alla legislazione nazionale e sottratta a quella delle regioni. Questa è la prima cosa da fare”, ha sostenuto il parlamentare di Ala. Il paese “rimane spesso bloccato per l’inerzia di chi deve decidere o per la contrapposizione di interessi”.