Mentre l’ondata di calore arrostiva l’Italia, arrivava fresca la notizia che 1,3 miliardi di euro erano disponibili pronto cassa per opere urgenti di difesa dalle alluvioni e dalle frane. Un segnale forte, ancorché estivo, della ‘svolta buona’ con cui i decisori politici avevano stabilito di affrontare un’eterna questione del nostro paese. Una questione salita subito alla ribalta, quasi in modo simbolico, già nei giorni dell’unificazione nazionale: due mesi dopo la breccia di Porta Pia, Roma patì l’alluvione più terribile del secondo millennio. Insomma, lo slogan #italiastaisicura scaldava i cuori ancor più del sole agostano.

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Le aree a elevato rischio idrogeologico sono tutt’oggi il 10% del territorio nazionale, coinvolgono circa il 69% dei Comuni e 5,8 milioni di abitanti e dal 1944 al 2012 si sono registrati 61 miliardi di euro di danni. E la situazione non è migliorata negli ultimi anni, se dal maggio 2013 a fine 2015 le Regioni hanno segnalato danni alluvionali per 8,3 miliardi di euro e il governo ne ha accertati 6,3, come testimonia sul sito governativo dedicato alle emergenze provocate dal dissesto idrogeologico, un timido ma positivo esempio di trasparenza amministrativa. Per la precisione: 8.303.755.073,00 euro richiesti dalla periferia e 6.309.856.887,00 accertati dai Commissari di governo, un’istituzione dalle venature manzoniane ormai consolidata nel nostro paese.

Avranno pure stanziato 1,3 miliardi di euro, ma la risposta di tipo strutturale alla mitigazione del rischio è stata finora assai inferiore alle necessità, vista la bolletta dei danni. E lo stesso rassicurante sito mappa.italiasicura.gov.it ci fa sapere che, in realtà, ne risultano stanziati meno della metà, ossia 0,565 miliardi. Ma di questi solo 0,381 miliardi sono stati trasferiti sul campo. Per la precisione, rispettivamente 565.120.000,00 e 380.701.500,00 euro, secondo uno schema distributivo che ricorda la moltiplicazione dei chicchi di riso sulla scacchiera, dove al posto di ‘moltiplicare’ va sostituito ‘dividere’.

Già la somma di 1,3 miliardi è poco più di un terzo di quanto spende il Regno Unito all’anno per fronteggiare la sfida del clima; e che le nuove alluvioni di fine anno, caratterizzato da un forte effetto El Niño (Enso), faranno lievitare nel prossimo futuro. Ma 1,3 miliardi sono pur meglio dei 0,38 miliardi spesi per davvero, poco più del costo del Quirinale. Anche se ciò che conta davvero è la qualità della spesa, ma qui andrebbe aperto un altro post.

È verosimile un impegno strutturale – mettiamo pluriennale – in grado di incidere in modo decisivo? I 155 anni di storia dell’Italia unitaria dicono che qualche risultato è stato ottenuto. Per esempio, il numero delle rotte arginali del Po è diminuito di un ordine di grandezza tra l’800 e il 900 e i muraglioni romani, terminati all’inizio del XX secolo, hanno fatto finora il loro mestiere. Ma i dati sui guasti alluvionali che tutt’oggi lamenta il paese (e lo iato tra investimenti e danni) dicono che un’efficace politica di mitigazione richiede, innanzi tutto, un significativo aumento della resilienza alluvionale dei territori a rischio.

Si parlerà di tutto ciò domani (martedì 19 gennaio) a Palermo, in un incontro di studi specialistici al quale parteciperanno anche alcune istituzioni? Resilienza e qualità non sono slogan.

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