Il risparmiatore va informato dei rischi degli investimenti che gli vengono proposti. E il fatto che in precedenza abbia già comprato altri titoli speculativi ad alto rendimento non esime la banca dal fornirgli tutti i dettagli sugli strumenti che gli sta vendendo. A sancirlo è la Cassazione, in una sentenza che conferma la condanna del Monte dei Paschi di Siena a risarcire i danni subìti da due coniugi trentini che avevano ordinato l’acquisto di 180mila euro in Cirio bond diventati carta straccia dopo il crac dell’azienda. Il pronunciamento è particolarmente significativo perché arriva mentre gli obbligazionisti subordinati delle quattro banche salvate dal governo attendono di sapere quando e in che misura avranno accesso agli indennizzi a carico del Fondo di solidarietà previsto dalla legge di Stabilità.
La banca senese ha sostenuto di non aver violato alcun obbligo d’informazione dal momento che “in epoca prossima all’operazione in questione, il cliente aveva acquistato altri titoli a rischio“. Ma per i supremi giudici “il dovere di fornire informazioni appropriate e l’obbligo di astenersi dall’effettuare operazioni non adeguate per tipologia, oggetto, frequenza o dimensioni, se non sulla base di un ordine impartito dall’investitore per iscritto contenente l’esplicito riferimento alle avvertenze ricevute, sussiste in tutti i rapporti con operatori non qualificati, e tale è anche chi in precedenza abbia occasionalmente investito in titoli a rischio”.
Con questa decisione la Cassazione ha confermato il verdetto emesso il 28 aprile 2009 dalla corte d’appello di Trento, respingendo il ricorso di Mps. I giudici trentini hanno ritenuto la banca inadempiente ai propri obblighi di informazione. Nel corso della causa era emersa, dai documenti e dalle testimonianze, la “scarsa propensione al rischio” dei coniugi correntisti e la loro “aspirazione a rendimenti superiori al 5%” oltre alla circostanza di avere acquistato “anche obbligazioni di società estere, peraltro con rating”.
Ad avviso dei giudici trentini l’assenza del rating, per i Cirio bond, valeva “di per sé a modificare il livello di rischio dell’investimento”. Inoltre, una nota della Banca d’Italia del 20 ottobre 2003 “dava atto che i titoli Cirio fossero destinati ai soli investitori istituzionali“. Per la corte d’appello di Trento “tutto ciò dimostrava che l’investimento si ponesse a livello non compatibile con la propensione al rischio del cliente, con conseguente violazione dell’art.29 Reg.Consob n.11522 del 1998″. Che sancisce che “gli intermediari autorizzati si astengono dall’effettuare con o per conto degli investitori operazioni non adeguate per tipologia, oggetto, frequenza o dimensione”.
A proposito della mancanza del rating dei bond Cirio, la Cassazione sottolinea che “la pacifica mancanza di rating ufficiale avrebbe dovuto indurre la banca ad agire con la massima prudenza, segnalando che si trattava di titoli particolarmente rischiosi o comunque non sicuri, tanto più che essi, seppur in prima battuta, erano destinati ai soli investitori istituzionali”. Così è stato respinto il ricorso di Mps e alla coppia trentina è stato confermato il diritto a ricevere i 180mila euro dell’investimento oltre agli interessi.