L'attacco del pm anticamorra Catello Maresca all'associazione fondata da Don Ciotti è solo l'ultimo capitolo di una lunga querelle. Al centro della polemica c'è la torta da 30 miliardi dei beni sequestrati alle associazioni criminali: l'accusa di Maresca, che ricalca quella del prefetto Giuseppe Caruso, è che vengono amministrati dalla galassia legata a Libera "in regime di monopolio". Nando Dalla Chiesa: "Non è vero"
L’ultimo attacco è arrivato da Catello Maresca, stimato pm anticamorra, che ha accusato Libera di aver acquisito “interessi di natura economica”. “Gestisce i beni attraverso cooperative non sempre affidabili. Io ritengo che questa antimafia sia incompatibile con lo spirito dell’antimafia iniziale”, è stato il j’accuse del magistrato, che ha ricevuto a sua volta la promessa di una querela da parte di don Luigi Ciotti. Due mesi prima l’associazione guidata dal sacerdote torinese era invece finita sotto il fuoco incrociato delle polemiche dopo l’addio di Franco La Torre, il figlio di Pio, il senatore del Pci assassinato da Cosa nostra, ideatore della legge che introduce la confisca dei beni ai boss mafiosi. “Mi hanno cacciato con un sms, don Luigi è un personaggio paternalistico, a tratti autoritario”, aveva detto La Torre, lamentando una carenza di democrazia dentro Libera, dove “qualcosa non va nella catena di montaggio”. Sono solo gli ultimi due fronti aperti intorno all’associazione fondata nel 1995 dal leader del Gruppo Abele, ma sono anche gli ultimi due episodi di una violenta guerra intestina esplosa nel mondo dell’Antimafia.
Il casus belli? 30 miliardi di beni confiscati a Cosa nostra – Prima ci sono state le querelle tra la stessa Libera e il Movimento 5 Stelle per la questione della spiaggia di Ostia, le dimissioni da direttore dell’associazione di Enrico Fontana a causa di un incontro con due politici finiti nell’inchiesta su Mafia Capitale, le indagini che hanno colpito alcuni tra i principali presunti frontman delle legalità tra magistrati e imprenditori e una torta da trenta miliardi di euro che sembra essere diventata il vero casus belli della faida a colpi di accuse e veleni che ha travolto la galassia dell’antimafia. A tanto ammonta il valore che hanno oggi i beni sequestrati dallo Stato alle associazioni criminali: un vero e proprio tesoro, che immesso nel mondo delle coop e delle associazioni antimafia sembra averlo corroso dall’interno. Appena un anno fa, il ministro Angelino Alfano aveva nominato Antonello Montante tra membri del comitato direttivo dell’Agenzia nazionale dei beni confiscati, che gestisce 10.500 immobili, più di 4.000 beni mobili e circa 1.500 aziende. Poi dopo essere finito indagato per concorso esterno a Cosa nostra, il numero uno di Confindustria Sicilia si è autosospeso dalla carica.
Gli uomini d’oro – Ed è proprio all’interno dell’Agenzia dei beni confiscati che si consuma il primo strappo sul fronte della lotta a Cosa nostra: è il 5 febbraio del 2014 e il prefetto Giuseppe Caruso, all’epoca al vertice dell’Agenzia, viene ascoltato dalla commissione Antimafia. E in quella sede ribadisce le sue accuse agli uomini d’oro, e cioè gli amministratori giudiziari, sempre gli stessi, nominati dal tribunale per gestire i beni sequestrati in cambio di parcelle a sei zeri. “Queste sono affermazioni gravi. Se non sono sue, signor prefetto, lei deve fare una smentita ufficiale molto seria e vedersela con il giornale e con i giornalisti”, lo redarguì la presidente di San Macuto Rosi Bindi, accusandolo di delegittimare le istituzioni con le sue affermazioni. La rivincita per Caruso arriverà solo un anno e mezzo dopo, quando l’inchiesta della procura di Caltanissetta su Silvana Saguto, l’ex presidente della sezione misure di prevenzione del tribunale di Palermo, svela l’effettiva esistenza di un cerchio magico fatto di favori e prebende all’ombra dei beni confiscati ai boss.
Una holding da 5 milioni – In quei giorni era stato lo stesso Luigi Ciotti a lanciare l’allarme: “L’antimafia – aveva detto – è ormai una carta d’ identità, non un fatto di coscienza. Se la eliminassimo, forse sbugiarderemmo quelli che ci hanno costruito sopra una falsa reputazione”. Adesso, invece, è proprio Libera ad essere finita al centro delle polemiche, con la Bindi che anche in questo caso ha difeso a spada tratta il sacerdote torinese, definendo “ingiuriose” le parole di Maresca. Una è l’accusa principale che viene rivolta a Libera: essersi trasformata da associazione nata per guidare la riscossa della gente perbene contro Cosa nostra a holding che gestisce bilanci milionari, progetti, incarichi, finanziamenti. E in effetti, basta dare uno sguardo ai numeri per rendersi conto che oggi Libera è molto cresciuta: a vent’anni dalla sua fondazione, è ormai una galassia che raccoglie oltre 1.500 associazioni, gestisce 1.400 ettari di terreni confiscati ai boss e ha un fatturato che supera i 5 milioni di euro all’anno. “È stata un’importante associazione antimafia. Ma oggi mi sembra un partito che si è auto-attribuito un ruolo diverso. Gestisce i beni sequestrati alle mafie in regime di monopolio e in maniera anticoncorrenziale. Personalmente sono contrario alla sua gestione: la ritengo pericolosa”, è uno dei tanti passaggi della discussa intervista del pm Maresca. “Non so a che titolo Maresca abbia detto queste cose: holding dell’antimafia? Non esiste. Da anni si dice che l’antimafia si spacca ma invece il movimento antimafia scoppia di salute. Anche il dato che Libera occupi militarmente uno spazio in monopolio non corrisponde al vero”, dice Nando Dalla Chiesa, presidente onorario di Libera. “Si fa un gran parlare di finanziamenti che in certi casi sono davvero ridicoli, si parla di grandi numeri ma quanti dipendenti fissi ha davvero Libera?- continua il sociologo – La verità è che mentre il movimento antimafia continua a crescere nelle scuole è scoppiata questa ‘moda’ di sparare sul mondo dell’antimafia, su Libera negli ultimi tempi, un copione già ampiamente visto negli anni ’80, purtroppo”.
L’Antimafia indaga sull’antimafia – “Libera per la gestione dei beni confiscati non riceve contributi pubblici. Libera gestisce solo sei strutture tra cui un piccolissimo appartamento a Roma”, ha invece spiegato lo stesso Don Ciotti alla commissione Antimafia. Il nodo fondamentale, manco a dirlo, è rappresentato dai beni confiscati a Cosa nostra, quel tesoro da trenta miliardi che Libera, in effetti, non gestisce direttamente (se non in qualche caso): è un fatto, però, che una grossa fetta della ricchezza sottratta ai boss mafiosi è assegnata a cooperative e associazioni che fanno tutte parte della galassia di don Ciotti. E sono le stesse associazioni e coop che quindi vincono i bandi, presentano progetti e ricevono finanziamenti per gestire quei beni. L’ultimo esempio? Il Pon Sicurezza da 1,4 milioni di euro per migliorare la gestione dei beni vinto dal Consorzio Sviluppo e legalità, che raggruppa alcune cooperative antimafia della provincia di Palermo. È a questo che riferiva Maresca nel suo j’accuse? E non sarebbe stato a questo punto il caso di sentire anche il pm a Palazzo San Macuto? Da dicembre, infatti, i parlamentari dell’Antimafia sono impegnati in un’indagine quasi paradossale: approfondire limiti e contraddizioni del vasto insieme che negli ultimi anni si è auto posizionato in prima fila nella lotta per la legalità. Come dire che se il 2015 passerà alla storia come l’annus horribilis dell’antimafia il 2016 potrebbe essere invece l’anno zero di quello stesso mondo che negli ultimi dodici mesi è finito divorato da indagini, veleni e polemiche al vetriolo.