Tre consiglieri del Pd si ribellano alle direttive del partito e Marcello Coffrini, sindaco di Brescello – che definì un suo compaesano, condannato per ‘ndrangheta, “gentilissimo” e “molto tranquillo” – può continuare ad amministrare. “In merito alla richiesta di dimissioni avanzata dalla direzione provinciale del Pd di Reggio Emilia e a maggioranza dal direttivo del circolo Pd di Brescello, esprimiamo piena solidarietà umana e politica al sindaco e lo invitiamo a continuare a svolgere il suo mandato”. La nota che rimanda al mittente la richiesta di dimissioni, è firmata da sei consiglieri comunali di maggioranza tra cui Marco Conti, Silvia Benecchi e Susanna Dall’Aglio, con la tessera de Pd in tasca. Il sindaco di Brescello può quindi stare al suo posto anche se nel frattempo ha perso per strada anche parte della giunta, tra cui il vicesindaco.
Resiste e va avanti Coffrini nonostante un Comune finito al centro delle attenzioni politiche e mediatiche di tutta Italia e nonostante il rischio di scioglimento (e sarebbe il primo caso in Emilia) per condizionamenti mafiosi. L’amministratore, eletto in quota Pd nel 2014, a settembre 2014 definì Francesco Grande Aracri, condannato per mafia, uno “educato”, “molto composto”. “Parlando con Francesco uno ha la sensazione di tutto meno che sia quello che dicono che è”, spiegò alle telecamere della web tv Cortocircuito che ripresero tutto, compreso l’incontro a quattrocchi tra il primo cittadino e il pregiudicato, da tempo residente nel paese in riva al Po. Ne seguì un putiferio di polemiche sul sindaco, ma la direzione provinciale del Partito democratico non ne chiese le dimissioni. Il Pd reggiano si dichiarò impossibilitato ad agire anche perché Coffrini non risultava, a detta dell’assemblea dei sindaci, un iscritto.
È passato un anno e mezzo, il nome del paese di Brescello nel frattempo è comparso nelle carte della maxi-inchiesta Aemilia sulla ‘ndrangheta in regione; poi nel territorio comunale ci sono stati nuovi sequestri giudiziari di immobili, tutti riconducibili, secondo la Direzione distrettuale antimafia di Bologna, alle ‘ndrine; infine una commissione di accesso nominata dal prefetto per sei mesi ha scandagliato il comune in cerca di indizi di infiltrazioni mafiose. Ma il Pd non ha mosso un dito contro il sindaco che aveva fatto eleggere. Il tutto fino all’11 gennaio 2016, quando Beppe Grillo, con il Movimento 5 stelle sotto pressione per il caso di Quarto, ha ritirato fuori la vicenda di Coffrini e di quelle parole sul condannato per associazione mafiosa.
Il primo cittadino, di nuovo sotto pressione, non molla anche se si avvicina la decisione del ministro dell’Interno, e voci insistenti danno come probabile uno scioglimento per infiltrazioni mafiose dopo che la commissione d’accesso ha terminato la sua lunga ispezione. In una intervista al Resto del Carlino del 14 gennaio Coffrini promette ricorsi sino al Consiglio di stato in caso di scioglimento per infiltrazioni mafiose. “Per arrivare a sciogliere una giunta ci devono essere fatti molto gravi e qui non ci sono. Nel mio territorio c’è la presenza della ‘ndrangheta, sì. Ci sono imputati in un processo per mafia. Ma non vuol dire che abbiano interferito con il lavoro del Comune”.
È solo a questo punto che, dopo un anno e mezzo, il Pd reggiano lo scarica: “E’ giunto il momento da parte del sindaco di Brescello – ha scritto il Pd reggiano – di rendersi conto che, se vuole difendere davvero il paese, le sue dimissioni sono urgenti e inevitabili”. Coffrini non ci pensa neppure e a vedere la risposta dei consiglieri comunali, non sembra che le direttive del Pd siano molto seguite. Per fare cadere il sindaco sarebbero servite le dimissioni di almeno sette di loro, ma per ora i numeri danno ragione a Coffrini. Degli otto consiglieri di maggioranza hanno annunciato la loro sfiducia al sindaco solo il capogruppo Pd Fabio Venerini e l’indipendente Ippolito Sofo.