La sentenza della Consulta sarà ora notificata alla presidenza del consiglio dei ministri. Verrà indicata una data tra il 15 aprile e il 15 giugno prossimi per consentire che si svolga il referendum. Che a quel punto sarà indetto con un decreto del Presidente della Repubblica. Nel frattempo, però, non è da escludersi che il governo tenterà di modificare la norma per evitare che si arrivi alla consultazione popolare
Gli italiani decideranno con un referendum sulla durata delle attività petrolifere. La Corte Costituzionale ha dichiarato ammissibile il sesto quesito, quello sulle attività petrolifere entro le 12 miglia marine, che si concentra sull’attuale previsione che i titoli abilitativi già rilasciati debbano essere fatti salvi “per la durata di vita utile del giacimento”. Per i promotori del referendum, infatti, l’emendamento introdotto dal Governo alla Legge di Stabilità permette che i titoli già rilasciati “restino validi in attesa di tempi migliori”. Per conoscere le motivazioni bisognerà attendere ancora (la pubblicazione è prevista per il 10 febbraio), ma di fatto la Consulta segue la strada intrapresa dai giudici della Cassazione.
IL SESTO QUESITO – Lo scorso 8 gennaio, infatti, la Suprema Corte ha trasferito sulla nuova normativa entrata in vigore il 1 gennaio con la Legge di Stabilità il sesto quesito ritenendo che la legge soddisfacesse tutte le altre richieste. Il Parlamento, del resto, aveva accettato di modificare la norma del codice dell’ambiente che consentiva la conclusione dei procedimenti in corso, prevedendo però che i permessi e le concessioni già rilasciati non avessero più scadenza. Non si chiariva, inoltre, che i procedimenti in corso dovessero ritenersi definitivamente chiusi e non solo sospesi. La Cassazione ha ritenuto che la modifica del Parlamento non recepisse completamente la richiesta referendaria e ha dichiarato il sesto quesito ammissibile, rinviandolo alla Corte Costituzionale.
COSA POTREBBE CAMBIARE – Il referendum è stato promosso da 9 Regioni: Basilicata, Marche, Puglia, Sardegna, Veneto, Calabria, Liguria, Campania e Molise. L’Abruzzo, invece, ha fatto dietrofront. Cosa cambierà se Regioni promotrici e i movimenti anti-trivelle vincessero la loro battaglia? Dall’abrogazione referendaria deriverà un vincolo per il legislatore che non potrà rimuovere il divieto di cercare ed estrarre gas e petrolio entro le 12 miglia e l’obbligo per il ministero dello Sviluppo economico di chiudere definitivamente i procedimenti in corso, finalizzati al rilascio dei permessi e delle concessioni.
VERSO IL REFERENDUM – La sentenza della Consulta sarà ora notificata alla presidenza del consiglio dei ministri. Verrà indicata una data tra il 15 aprile e il 15 giugno prossimi per consentire che si svolga il referendum. Che a quel punto sarà indetto con un decreto del Presidente della Repubblica. Nel frattempo, però, non è da escludersi che il governo tenterà di modificare la norma per evitare che si arrivi alla consultazione popolare. Come è già accaduto. La sentenza della Corte Costituzionale e le relative motivazioni saranno pubblicate entro il 10 febbraio.
LA DELIBERA IN VENETO – Intanto il Consiglio regionale del Veneto ha approvato all’unanimità la proposta dell’Ufficio di presidenza di ricorrere alla Corte Costituzionale per conflitto di attribuzione sul caso delle previsioni normative, comprese le autorizzazioni concesse dallo Stato, sulle trivellazioni e la ricerca di pozzi petroliferi o giacimenti di gas naturale. “Voto compatto e unanime” ha detto il presidente Roberto Ciambetti. Sono sei le Regioni promotrici del referendum pronte a sollevare il conflitto di attribuzione con il Parlamento: si tratta di Basilicata, Sardegna, Veneto, Liguria, Puglia e Campania. Lo scopo è anche quello di non abbandonare la battaglia su altri due referendum non dichiarati ammissibili dalla Cassazione, sulle proroghe dei titoli già concessi e sul piano estrazioni.