Nel 1977 il grande liberale francese Raymond Aron scrisse il saggio In difesa di un’Europa decadente. Oggi il progetto europeo è transitato dalla condizione di “decadente” a quella di “decaduto”.
Di fatto, se viene annullato il trattato di Schengen, che sanciva la libera circolazione delle persone nello spazio dell’Unione, la campana a martello batterà il primo rintocco. Gli altri potrebbe farli risuonare l’Italia, che da paese euro-entusiasta è virata verso l’euro-fobia nel giro di pochi anni; a seguito di colonizzazioni della pubblica opinione finalizzate a scopi assolutamente meschini.
Grazie all’improvvisa conversione di Matteo Renzi, intenzionato ad affrontare le prossime tornate elettorali cavalcando opportunisticamente un revanscismo da “infausto ventennio” (“la Grande Proletaria contro le cricche pluto-demo-giudaiche”, diceva il Duce; e poi aggiungeva “massoniche”, cosa che a Renzi risulta difficile fare), lo scenario politico nazionale vede l’anti-europeismo diventare unanimismo.
Certo, sul fronte opposto ci sarebbe ancora la sinistra Pd; ma della componente Cuperlo-Bersani non vale la pena tenere conto, verificatane la consistenza da budino. Insomma, la congenita rissosità politica italiana registra l’esecrazione all’unisono di Bruxelles? Sarà pure così, ma tale convergenza è solo concorrenza elettorale: accaparrarsi quote di un orientamento del pubblico indotto da suggestioni indirizzate all’area viscerale; premurandosi di escludere la sfera raziocinante. La cancellazione dei termini reali della questione.
Pensata/sognata dai primi propugnatori come federazione, la costruzione europea si strutturò a confederazione per gli egoismi e le ansie di protagonismo dei vari establishment nazionali; terrorizzati dall’idea di perdere un’oncia di potere in casa propria, sotto forma di cessione di sovranità. Un problema che riguardava i professionisti della politica, mica i cittadini (che pure venivano tenuti a cavezza ammaliandoli con le sirene ingannevoli di un presunto interesse nazionale).
Sicché, quanto venne emergendo già negli anni Ottanta non è una realtà sovra-nazionale che soppianta gli ormai anacronistici Stati-nazione; bensì, il cosiddetto “cartello di Bruxelles”. La “conseguenza dell’allineamento di due corposi interessi: delle grandi imprese europee a colmare quelli che percepivano come vantaggi competitivi del capitale giapponese e Usa; delle élite statali, che cercavano di restaurare, almeno in parte, la perduta sovranità politica a livello nazionale per effetto della crescente interdipendenza internazionale”.
Di certo ci si attendeva di più da un progetto nato per la fondazione di democrazia attraverso l’innovazione istituzionale. Però, come dimenticare che l’Europa ha continuato a essere il soggetto promotore dei finanziamenti alla formazione, dei programmi Erasmus, dei piani transfrontalieri di cooperazione, del trasferimento di risorse dalle aree del privilegio a quelle del bisogno. E ancora: la scuola continentale di sussidiarietà come della pianificazione territoriale. Insomma, dal dopoguerra in poi siamo diventati più civili attraverso l’integrazione europea.
La crisi ci ha investito nel 2008 provenendo da oltre oceano. E lì si è vista tutta l’inadeguatezza delle attuali classi dirigenti del continente; con le loro scriteriate politiche di austerity, conseguenza dall’infezione di blairismo, per cui il politico fa carriera se riesce a farsi cooptare nel club dell’oligarchia plutocratica.
Ma davanti a questa involuzione, il problema è ritornare agli staterelli di prima, bruscolini insignificanti in base ai formati imposti dalla globalizzazione, o promuovere politiche per il ripristino dell’Europa perduta? Scalpato Tsipras e ridimensionata Podemos, non ci sono in campo forze che si battano per un New Deal continentale. E ora l’Italia elettoralistica di Renzi si colloca nelle posizioni di testa per il titolo di sfasciacarrozze europeo. Per vincere le elezioni e mantenere fede al mandato ricevuto diventando premier: tutelare gli interessi della corporazione trasversale del potere. In questa orgia dilagante di demagogia irresponsabile.