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Franca Leosini torna su Rai Tre con “Storie Maledette”: “Con me i condannati parlano perché non ho pregiudizi”

Il 21 gennaio la prima puntata su Rudy Guede, ritenuto l'unico responsabile dell'omicidio di Meredith Kercher a Perugia. Vedono in lei una persona con cui possono confidarsi. "E' fondamentale studiare la psicologia del personaggio. E gli incontri in carcere possono durare anche otto ore. Stabilisco un ponte tra loro e la società perché nel mondo, presto o tardi, dovranno tornare"

di Malcom Pagani

Franca Leosini la fa breve: “Mi interessa capire, dubitare e raccontare. La natura dei protagonisti, delle vittime e dei colpevoli. E poi l’ambiente in cui il delitto si è svolto perché il delitto è anche un fatto culturale e sociale”. Dal 21 gennaio, con Storie Maledette, questa bionda signora napoletana dal linguaggio aulico che entra nelle carceri e fa parlare i condannati sarà in onda in prima serata su Rai3. Tre puntate, tre casi, tre storie misteriose: “Perché il mistero rende più sensata anche la ricerca della verità”.

Si parte con Rudy Guede, ivoriano, unico colpevole secondo i tribunali dell’omicidio di Meredith Kercher a Perugia, condannato a 16 anni di carcere.
Parla per la prima volta davanti a una telecamera e riscrive una storia molto diversa da quella che avevo immaginato.

Guede ha potuto leggere le domande prima?
Non faccio mai leggere le domande in anticipo, però chi mi cerca sa cosa trova.

E cosa trova un condannato in Franca Leosini?
Una persona senza giudizio né pregiudizio. Il confronto con la verità è doloroso: chi si apre deve poter contare sulla neutralità del mio sguardo.

Come la cercano?
Mi scrivono o mi fanno scrivere dagli avvocati. Io vado a incontrarli una o al massimo due volte. Ho bisogno di vederli, di parlare con loro, di trascorrere tempo insieme.

Perché va a trovarli?
Per studiare la psicologia del personaggio: per me è centrale. Gli incontri in carcere possono durare anche otto ore. Mangiamo insieme. Mi aprono la loro cambusa. Li faccio parlare molto della loro vita, del loro passato.

Come è andata con Guede?
Avevo impostato il colloquio prevedendo una serie di domande serrate. Mi ha detto cose che non mi aspettavo.

Si è detto innocente accusando Raffaele Sollecito e Amanda Knox?
Non esattamente. Ho letto ricostruzioni imprecise, ma posso dire che il vero Rudy Guede non somiglia al ritratto che di Rudy Guede è stato dipinto per anni. Davanti a me c’era una persona diversa da quella descritta dai giornali.

Guede ha sostenuto di essere stato condannato perché mettere in catene il ‘negro’ era più semplice? “Nero trovato colpevole trovato”?
Il pregiudizio è stato un elemento fondamentale della vicenda. Non a caso scrivendo del delitto di Ashley Olsen e del ragazzo che è stato arrestato per presunto omicidio, Chek Diaw, il Washington Post ha fatto immediatamente un paragone con il delitto di Meredith Kercher. Quello spettro rimane. Il dubbio resta come un’ombra.

Che rapporto intrattiene con il dubbio?
Un rapporto tormentato. Le storie sono tutte importanti, ma esistono percorsi più o meno lineari e parabole umane che a volte lasciano dentro domande profonde.

Le è capitato anche in questa edizione?
Ripercorrendo il caso di Lucia Annibali, sfigurata dall’acido a Pesaro, vittima di un reato sconvolgente già tristemente emulato è stato impossibile non porsele.

In carcere, in attesa della Cassazione, c’è Luca Varani. L’ex fidanzato.
Luca Varani non ha mai confessato, chi seguirà la puntata vedrà fino a che punto si è spinto con me.

Quali limiti si pone nell’incontrare chi è stato accusato di reati gravissimi?
Non uso le persone, ma rifiuto di essere usata.

Ci sono argomenti che si rifiuta di trattare?
La televisione ha i suoi doveri, ma anche i suoi diritti: non tutte le storie sono adatte alla televisione.

Certe storie non sono abbastanza televisive?
Metterla così non mi piace. Perché nelle mie storie la materia umana si fonde con quella giudiziaria. Ci sono cose di cui però non voglio parlare e su cui non imposterei mai una puntata. Non mi occupo di malavita, camorra, mafia, di tutto quello che ha a che fare con i professionisti del crimine. Non mi occupo di pedofili per rispetto dei bambini. Poi non tratto storie a sfondo economico. Se l’industriale ha ammazzato il rivale per motivi esclusivamente economici, non mi interessa.

Perché?
Perché mi pare di vedere un’assenza di motivi passionali.

I suoi interlocutori sono considerati criminali.
Non sono serial killer. Non sono malati. Sono persone che hanno ucciso, è diverso.

Qual è la differenza?
La persona che ha ucciso e non è un professionista del crimine è solo un individuo che ha commesso un crimine. È passata da una normale quotidianità all’orrore di un gesto estremo che non somiglia alla sua normalità.

E chi sono i professionisti?
Per me un professionista del crimine è anche uno scippatore.

Per citarla: “I miei interlocutori sono persone cadute nel vuoto di una maledetta storia”.
Quando li incontro so molto della loro storia, ho già letto le sentenze.

E le bastano?
No. La vera miniera sono le informazioni sommarie. Gli interrogatori iniziali a familiari, amici, nemici. All’edicolante come al pescivendolo. Da quel che la gente dice puoi capire tante cose della personalità di chi stai per incontrare.

Cosa diventa lei per loro?
Un’agevolatrice. Stabilisco un ponte tra loro e la società perché nel mondo, presto o tardi, dovranno tornare.

Franca Leosini, autodefinizione.
Sono una persona onesta. Una che ha lavorato sempre tanto senza aver dietro di sé né un amante né un partito.

Da Il Fatto Quotidiano del 20 gennaio 2016 

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