Alfieri compie un percorso concepito in categorie filosofiche, che a lui servono per descrivere lo stile di ciascun gruppo antologizzato, in rapporto alla crisi sociale. Ciò che l’autore chiama “catastrofe” investe i rapporti interpersonali, i sogni e i progetti possibili, umani e professionali, sin dagli anni Zero. Si va dall’espressionismo aggressivo del Teatro degli orrori alla trasfigurazione “romantica” e spesso malinconica de Le luci della centrale elettrica, in un percorso che porta all’accettazione matura dei Ministri, e che quindi approda in chi quasi sublima la catastrofe e la fa diventare forma d’arte.
Perché è un libro necessario? Perché se una delle caratteristiche principali dell’arte è descrivere, con un codice diverso da quello del mondo, la realtà che ci circonda, facendocela comprendere meglio e mostrandocela da un altro punto di vista, questa peculiarità è esponenziale nel caso della canzone, “oggetto artistico” quotidiano e orizzontale. Allora sarà necessario occuparsi di quegli autori la cui esigenza creativa è caratterizzata dalla rappresentazione artistica del mondo che abitiamo. La canzone però è declinabile in diversi generi: così, mentre il pop si accontenta di costruire un prodotto che possa funzionare per l’acquirente medio, la musica d’autore tende a descriverci con “poetico realismo” (tenendo presente l’intero potenziale metaforico di queste due parole).
Allora, se quasi tutti i grandi media sono evidentemente sbilanciati verso la musica pop, le opere critiche che si occupano dell’“altra parte” diventano estremamente preziose, ancor di più quando descrivono scientemente una fenomenologia del doppio filo che lega l’esigenza creativa al mondo che circonda gli artisti. Questo Musica dei tempi bui lo fa, chiedendo uno sforzo al lettore attento, senza ammiccamenti, senza strizzare l’occhio e senza berciare con ipocrisia di “magnifiche sorti e progressive”.