Un uomo solo, a breve, al di fuori dell’apparato amministrativo dello Stato, sarà in grado di conoscere tutti i segreti delle nostre vite. E ne conoscerà tutti i risvolti, nel bene e nel male, in virtù delle norme che consentono di fatto alla Presidenza del Consiglio, di conoscere i movimenti di ogni cittadino italiano. Si tratta di Marco Carrai, amico di vecchia data del presidente del Consiglio.
La storia è nota. Il presidente del Consiglio, angosciato dai potenziali attentati reali o virtuali, e resosi conto della difficoltà nel reagire a possibili attentati alla sicurezza cibernetica, ha deciso di creare uno zar della cybersecurity, dotando il reparto anche di (adeguate?) risorse finanziarie (150 mln di euro nella legge di Stabilità).
Renzi ha deciso di muoversi per via amministrativa, utilizzando cioè le norme secondarie, le direttive ad esempio, come quella fortemente voluta ad agosto dallo stesso Renzi, o come la “Madre” delle norme amministrative sulla cybersecurity, quella varata con Dpcm del 24 gennaio 2013 dal presidente del Consiglio dei ministri di allora, Mario Monti. Norme che, in quanto secondarie, sfuggono al controllo parlamentare e a un possibile dibattito con le opposizioni, ma anche, e non è un particolare di poco conto, ad un dibattito all’interno del proprio partito.
L’operazione “cybersecurity”, come si diceva, è iniziata prima dell’insediamento dell’attuale presidente del Consiglio, e precisamente ad opera di Mario Monti che, quale ultimo atto della sua non particolarmente ricordabile presidenza, diede ai posteri la direttiva sulla cybersecurity del 2013. Con una particolarità: la norma consente alla Presidenza del Consiglio di poter accedere, in virtù del ruolo gerarchico rivestito, a tutte le informazioni riguardanti i cittadini italiani, come i metadati delle nostre comunicazioni.
La Presidenza del Consiglio, attraverso il proprio consigliere militare (ma non solo lui), può avere accesso, senza il controllo della magistratura, a decine di banche dati pubbliche e private, come ad esempio quelle degli operatori di telecomunicazione, ma anche all’anagrafe tributaria e così via, in virtù dell’art. 11 di quel decreto.
Il problema è che, a differenza di quello che è previsto nei nostri codici, il concetto di sicurezza non è stabilito a priori e per determinati individui o per fatti specifici: quindi lo stesso può essere adottato ed applicato discrezionalmente a decine di casi, senza che si possa capire dove è il limite e per quali fatti può operare questo limite.
In questo contesto si innesta la volontà del presidente del Consiglio di nominare un esponente “politico”, estraneo alle istituzioni, se anche in possesso di uno skill tecnico probabilmente adeguato. La mossa appare molto azzardata. La possibilità di consultare ed incrociare con un clic tutte queste banche dati, senza un controllo giudiziario, e, a questo punto al di fuori degli apparati tradizionali dello Stato, può fondare un potere che potrebbe essere utilizzato magari in futuro, in modo non conforme agli obiettivi istituzionali.
Naturalmente questo non riguarda la persona di Marco Carrai o la professionalità di chi dovrà operare nella struttura di cui l’imprenditore toscano si dovrà presumibilmente dotare ma quello che può essere fatto una volta che si è “esternalizzato” questo potere.
Il potere di “clic” sui dati, se usato in futuro per motivi di lotta politica può portare a distorsioni evidenti, potendosi anche ritorcere contro lo stesso Renzi: lui forse non lo sa, ma nessun uomo politico è immortale e se un giorno il nostro presidente del Consiglio si trovasse dall’altra parte della barricata nessuno potrà escludere che non sia lui l’uomo oggetto delle attenzioni di chi, nominato da altri, potrà guardare nel profondo della sua anima digitale (o delle sue debolezze analogiche).
A tacere del fatto che molto spesso le attenzioni di chi vuole condizionare determinate scelte con un uso accorto delle informazioni in proprio possesso provengono anche dagli stessi compagni di partito (o di merende come avrebbe detto Pacciani, che sempre fiorentino era).
Laurenti Beria, il capo della polizia segreta di Stalin soleva dire, a simboleggiare il potere assoluto e senza controllo delle strutture “parallele” dello Stato, datemi l’uomo troverò il reato. Nel mondo digitale questo detto si può facilmente trasformare in datemi i dati e vi troverò il reato (o meglio la debolezza, che in politica si paga, a differenza del commettere un reato). Meglio, molto meglio se a svolgere questo ruolo sia una istituzione dello Stato, con un uomo dello Stato ed il controllo che lo Stato (e la Magistratura) possono esercitare su attività cosi delicate.