Curiosamente, da quando siamo usciti di scena, non si parla più di crisi dei talk. Segno che i talk sono tutti uguali, ma ce n’era uno che evidentemente era più uguale degli altri. Si continua invece a parlare della necessità d’innovare; e sono mesi che ci affanniamo a proporre idee nuove e progetti che non interessano a nessuno. Meno che meno alla Rai. Siamo il Paese dove si sceglie Porta a Porta per spiegare l’importanza del merito e della competitività, si teorizza la rottamazione reclutando Claudio Lippi per lo show di Capodanno (mettendone a repentaglio la salute), si stabilisce il record mondiale della durata di un programma facendolo cominciare alle nove di sera e finire all’una del giorno successivo.
Ma abbiamo la fortuna di avere un presidente del Consiglio talmente veloce che ha raso al suolo il servizio pubblico lottizzato dai vecchi partiti e ha nominato (con l’aiutino di Gianni Letta) un team di molto competenti per arrivare a nominarne un altro di ancora più competenti, questa volta da solo. Se li avesse Marchionne, dei cervelli così, la Ferrari vincerebbe il campionato senza accendere i motori. Infatti corrono stando fermi, mentre studiano nuove tecnologie e prodotti multitasking.
Si racconta che abbiano accumulato armi segrete per vincere qualunque guerra, ma si rifiutano di usarle: Netflix, alleato strategico, potrebbe entrare in depressione, gli italiani assuefatti alla televisione antiquariale, comunque milioni, entrerebbero in crisi d’identità e Grillo sarebbe costretto a trovare un’idea nuova di comunicazione diversa dalla partecipazione dei Cinque Stelle ai talk show.
Dopo aver visto il programma della Lotteria alla Befana, che è solo un piccolo annuncio di ciò che ci aspetta, ne ho ricavato un forte senso di inadeguatezza; e, a chi mi chiede cosa farò, rispondo sinceramente: “Studia Campo Dall’Orto, studio anch’io”. Come staranno di sicuro facendo Daniele Luttazzi, Sabina Guzzanti, Adriano Celentano e, siccome non è un problema d’età, Roberto Saviano. Per sottrarsi a questo tormento degli esami che non finiscono mai, Enzo Biagi ha tolto il disturbo e voglio vedere come farà quel gufo isolato di Marco Travaglio a malignare sul fatto che l’editto bulgaro sia diventato l’editto del Nazareno e poi l’editto e basta.
È solo impotenza e sgomento di una moltitudine di autori, giornalisti, tecnici, operatori e registi, lamentela dei soliti sfigati documentaristi che, tra tante reti, non trovano uno spazio settimanale, di fronte all’annuncio della rivoluzione copernicana del Direttore Generale della Rai Galileo Galilei. Presto proporrà un’offerta che nessuno potrà rifiutare.
Avremo prime, seconde, terze e quarte serate, film da Oscar che oscureranno il pessimismo neorealista di Sciuscià di De Sica e di Germania Annozero di Rossellini, programmi di economia “Non è mai troppo tardi” per aiutare i disoccupati ad accorgersi del lavoro che c’è. E Severgnini rifarà Viaggio in Italia, scoprendo però che per i musei Italia batte Francia 6 a 0 e per le buche Roma batte Parigi 0 a 10, nel tressette a perdere.
Il pubblico a casa, libero dai complessi d’inferiorità, dal catastrofismo e dall’ansia di prestazione, farà la ola cinguettando davanti al televisore; e brandendo l’iPhone, in preda a un orgasmo multiplo da X-Factor, invaderà la Rete per votare chi ci ha spinti a calci in culo nel futuro. Che è già cominciato, ma Campo Dall’Orto vuole che vada in onda fra qualche mese.
La redazione di Servizio Pubblico purtroppo era piena di gente inadeguata alla rivoluzione. I più realisti si sono rifugiati nelle architetture che restano precariamente in piedi: le piazze pulite, le quinte colonne, i quartieri Ballarò ritinteggiati a calce, quando non hanno trovato posto nel più astratto e meno deperibile DiMartedì che è appena un po’ meno virtuale di Che tempo che fa.
I ripetenti, non accettando tagli ai reportage, sono partiti a loro spese per raccontare la Libia, fatica inutile e controproducente; o, come noi, hanno dilapidato la cassa per filmare la strage di giovani, di nessun interesse, dei quartieri napoletani o per scrivere film sulla Mafia. La Mafia che già non c’è più e figuriamoci se ci sarà. Giulia Innocenzi, incurante dei consigli per gli acquisti, continua a occuparsi dei diritti degli animali e, a dire il vero, anche di quelli degli umani.
Infine un gruppetto di noi si è messo in testa di parlare di cibo e ha ideato Buono!. Pensano che il cibo sia diventato una vera ossessione, un’idea astratta onnipresente, un Dio uscito definitivamente dal nostro stomaco per invadere le pagine dei giornali, le Tv, la Rete. E vogliono riportare questo mangiare infinito nel finito di un tavolo per riscoprire la forza del sapore, dell’odore, del gusto e, contemporaneamente, quello dell’amicizia e dello stare bene insieme.
In questa variegata classe di ripetenti alloggio io, aspettando la Rai. Andai via cinque anni fa con una lettera del Direttore Generale di allora, Lorenza Lei, che si impegnava a produrre tra l’altro un mio film, Processo all’Olocausto. Il racconto di una incredibile e affascinante vicenda giudiziaria che ha coinvolto uno storico inglese, David Irving, il quale sosteneva non ci fossero prove dell’ordine finale di Hitler di sterminare gli ebrei. Non si è mai fatto. Lo faranno gli americani con la partecipazione degli inglesi e, udite udite, della Bbc. Avevamo per lo meno tre anni di vantaggio, come sono andate le cose?
Il successore della Lei, Luigi Gubitosi, prima ha giurato sul suo onore che avrebbe mantenuto gli impegni dell’altro Direttore Generale, poi ha passato la palla alla responsabile della fiction, Eleonora Andreatta. La chiamo dopo sei mesi. “Mi scusi, non so come dirlo, ho perso il progetto”. E io, coglione: “Ma che problema c’è? Glielo rimando oggi stesso”. Incredibile: l’ha perso di nuovo. Così, quattro anni dopo, al produttore arriva la lettera di un sottoposto qualsiasi: “La storia è interessante, ma il nostro pubblico è abituato a vicende ambientate in Italia”.
Pensate: se Hitler avesse fatto il militare a Cuneo, la mia vita sarebbe cambiata. Invece sono qui che ancora studio e sento il cannone che spara. “Ma sono le dieci!”, mi dico. È un esperimento segreto al Gianicolo per la nuova Rai. Dovevo capirlo subito che è opera di Galileo. Mezzogiorno è adesso. Due ore prima.
di Michele Santoro
da il Fatto Quotidiano di giovedì 21 gennaio 2015