Oggi, giovedì 21 gennaio, a Livorno, in occasione del novantacinquesimo anniversario della fondazione del partito comunista, Rifondazione Comunista organizza un incontro pubblico dal titolo “La nostra storia e l’attualità del comunismo”.
Il punto da cui intendiamo partire è proprio l’attualità del comunismo. So benissimo che per molte persone una affermazione di questo tipo suona prima ancora che scandalosa del frutto fuori tempo. Per molte persone il comunismo è stato – nel bene e nel male – un tentativo di uscire dal capitalismo ma tipico di un’altra epoca storica, di un altro mondo. Per cui oggi il comunismo può esistere solo come memoria o come cultura.
La mia opinione è diversa. Penso che il tema del comunismo sia più che mai attuale perché sono del tutto evidente due questioni.
La prima è che Marx aveva del tutto ragione. La crisi del capitalismo non è dovuta a questa o quell’altro elemento ma è una crisi “strutturale” che riguarda il meccanismo di accumulazione e la logica del profitto.
La seconda è che il capitalismo ci sta portando alla barbarie e non esiste alcuna uscita positiva dalla crisi che non prevede il superamento del capitalismo cioè il superamento di un modo di produzione fondato sull’estrazione di plusvalore e quindi sul profitto.
Vediamo meglio.
La crisi che viviamo non è frutto si scarsità, come invece ci viene raccontato ogni giorno. La crisi è frutto di una grande sovrapproduzione di merci a cui non è possibile trovare uno sbocco che remuneri il capitale. Da qui il gonfiarsi della speculazione in cui vengono investiti i capitali eccedenti e che producono in continuazione bolle destinate ad esplodere. In questo modo, il capitalismo concentra la ricchezza e parallelamente distrugge capitale, cercando di recuperare – attraverso la produzione artificiale di una situazione di scarsità – i margini di profitto che desidera. La crisi è una enorme distruzione di capitale e la guerra – sempre più presente – è il modo più rapido per farlo. Così come la guerra tra i poveri e il razzismo sono il modo più semplice per aumentare lo sfruttamento e ridurre il valore del lavoro. La crisi non distrugge solo capitale ma le condizioni di vita dell’umanità oltre che la natura. Questa crisi mostra come il capitalismo, dopo aver prodotto una enorme ricchezza, nel tentativo di riprodurre un alto saggio del profitto, abbia imboccato la strada della barbarie. In altri termini, il capitalismo non è in grado di riprodursi nell’abbondanza. Non a caso Marx scriveva ne l’ideologia tedesca: “Il comunismo per noi non è uno stato di cose che debba essere instaurato, un ideale al quale la realtà dovrà conformarsi. Chiamiamo comunismo il movimento reale che abolisce lo stato di cose presente. Le condizioni di questo movimento risultano dal presupposto ora esistente.”
Il “presupposto ora esistente” è lo sviluppo capitalistico che ora è arrivato ad un punto in cui, per dirla in termini semplici, ha dato tutto quello che poteva dare, cioè ha esaurito la sua spinta propulsiva.
Da questa crisi non se ne esce con le politiche neoliberiste ma nemmeno rilanciando semplicemente le politiche di sviluppo: esistono dei limiti ambientali che non permettono la ripresa di uno sviluppo quantitativo che ripeta quanto è accaduto nel secondo dopoguerra. L’unica uscita dalla crisi sta nella radicale redistribuzione del lavoro, nella socializzazione della ricchezza, nella costruzione di un potere di autogoverno diffuso contrapposto alla dittatura delle multinazionali, nella riconversione ambientale e sociale dell’economia e delle produzioni. L’unica via di uscita dalla crisi è il superamento del capitalismo, cioè della logica del profitto, in senso egalitario, libertario e rispettoso dell’ambiente. Questo è quello che noi chiamiamo comunismo: cooperazione e non concorrenza e su questa base, libero sviluppo dell’individuo, degli uomini e delle donne.
Di tutto questo discuteremo a Livorno a partire da due valutazioni politiche che per noi sono fondamentali.
Innanzitutto che ci riconosciamo eredi della storia di quegli uomini e quelle donne che 95 anni fa si dotavano di un partito comunista per progettare l’assalto al cielo. Ogni generazione lo fa in modo diverso e soprattutto cercando di imparare dagli errori propri e delle generazioni precedenti, ma quella è la nostra gente, la nostra storia, a cui non siamo disponibili a rinunciare.
In secondo luogo siamo perfettamente consapevoli che oggi – anche in virtù degli errori da noi compiuti – non basta dire la parola comunista per rendere chiaro qual è il nostro obiettivo e la nostra ispirazione. Per questo ci chiamiamo rifondazione e per questo, con tutte le donne e gli uomini che vogliono combattere il liberismo – che del capitalismo è il volto odierno –, vogliamo costruire un soggetto unitario e plurale della sinistra, per unire quello che il neoliberismo ha diviso.
Alla discussione, oltre agli storici Favilli e Liguori interverranno Lidia Menapace, Greco, Renda e i portavoce dei giovani comunisti Candeloro e Ferroni. L’incontro si terrà a Livorno, al Palazzo dei Portuali in via San Giovanni 13, alle 17, giovedì 21 gennaio.