20160121_095727

Porta Palazzo a Torino è il più grande mercato all’aperto d’Europa. E’ diviso in quattro “spicchi”, dei quali uno è occupato quasi interamente da un’orripilante struttura architettonica del compagno Fuksas e da banchi di scarpe; uno dal mercato coperto degli alimentari e dalla tettoia che ospita i cosiddetti “contadini” (alcuni veri, altri no), oltre che banchi di casalinghi; uno invece vede al suo interno il mercato del pesce e i banchi dell’abbigliamento, interamente in mano ai cinesi; l’ultimo spicchio, il più colorato ed appassionante, il mercato della frutta e verdura, gestito da un melting pot di italiani e stranieri, oltre ad una struttura coperta sempre di generi alimentari.

Se andate a Torino, non perdetevi l’occasione di fare un giro a Porta Palazzo: ne vale assolutamente la pena. Quando sono da quelle parti, anche se non devo acquistare nulla, non mi faccio mancare due passi, in particolare tra i banchi della frutta e della verdura, in mezzo ai quali si riversano al mattino frotte di persone di tutte le età, ma soprattutto pensionati che con i mezzi pubblici convergono qui da ogni quartiere della città. Perché Porta Palazzo, come dice la gente, “conviene, e molto”.

Verissimo, i prezzi si possono definire “stracciati”. In questi giorni, i carciofi li trovi tranquillamente in vendita da uno a quattro euro in numero di dieci; i pomodori datterini a due euro al chilo; l’uva a due, tre euro al chilo; le fragole a due euro. E gli esempi potrebbero continuare all’infinito. La gente si riempie le sporte e i trolley, e con dieci, quindici euro può fare la spesa per una settimana per una coppia di persone. Tutto bene, dunque? Beh, se vediamo il fenomeno dal punto di vista sociale, si direbbe di sì. Torino è una delle metropoli più povere d’Italia (in questi giorni ci sono circa 1900 alloggi all’asta nella cinta urbana) e ben venga che ci sia un luogo in cui la gente può sfamarsi spendendo un’inezia. Dal punto di vista ambientale, e non solo, invece il fenomeno fa pensare.

Innanzitutto, non è un caso che abbia riportato sopra dei prezzi di generi alimentari che in teoria non si dovrebbero trovare abitualmente su un banco mercatale a gennaio. Prendiamo le fragole. Fino a pochi anni fa, le trovavi sempre prima della loro stagione abituale, ma diciamo da aprile in poi. Oramai sono annuali. Dove vengono prodotte? Ovviamente in serra, anzi, in tunnel. Anche in Italia, ormai tutto l’anno, non più solo in Spagna. Ma che vengano dalla Spagna o dalla Sicilia, a Porta Palazzo il prezzo resta uguale: circa due euro al chilo. Lasciamo perdere il discorso pur importante di come sono coltivate, quali e quanti concimi vengano utilizzati, e badiamo solo al prezzo. Dentro al quale devono starci – quanto meno – la remunerazione del raccoglitore, dell’imprenditore agricolo, del trasportatore, del venditore.

Non è stupefacente che vi sia margine di guadagno per tutti questi operatori in quei miseri due euro, considerato che, tra l’altro, la coltivazione in tunnel è presumibilmente più onerosa di quella in campo? E qui veniamo in particolare al discorso dei costi del trasporto che non incidono quasi nulla sul prodotto trasportato. Quando noi ambientalisti parliamo di “verità dei costi” ci riferiamo proprio a quello. Trasportare costa poco, troppo poco, tanto più oggi con il prezzo del petrolio ai minimi storici, visto che i trasporti vengono effettuati per la maggior parte con mezzi che consumano derivati dal petrolio. Secondo dati Ue del 2011, in Europa i trasporti dipendono dal petrolio e dai prodotti derivati per oltre il 96% del fabbisogno energetico.

Se sul prodotto finale dovessero invece gravare i costi esterni (inquinamento, in primis, ma anche, per il trasporto su strada, il consumo delle infrastrutture ed il costo degli incidenti stradali), esso verrebbe a costare decisamente di più, con la conseguenza che, alla lunga, si opterebbe per trasporti più ecologici, ed auspicabilmente, a tendere, dovrebbero anche ridursi i trasporti sulle lunghe distanze, ponendo le basi per una economia davvero più sostenibile. Meno globalizzata, più localizzata.

Ma torniamo alle fragole per affrontare brevemente un altro aspetto. Su quelle fragole a due euro quanto è il guadagno del raccoglitore? Le fragole sono raccolte a mano e secondo dati degli organismi confederali in Italia occorrono 4 mila ore di lavoro all’anno per ettaro. Facile pensare che per tenere prezzi bassi questa raccolta sia effettuata da manodopera sottopagata e che viga il fenomeno del caporalato. Senza andare troppo lontano, qui in Piemonte lo si è “scoperto” di recente nella vendemmia dell’uva moscato a Canelli o nella raccolta delle mele a Saluzzo.

Nel Sud il fenomeno è ancora più diffuso, anche perché il caporalato viene da lì. Ma il discorso qui si fa ancora più complesso. E’ vero, c’è lo sfruttamento, soprattutto di extracomunitari, ma val la pena chiedersi anche: quanto guadagna l’imprenditore agricolo al giorno d’oggi? Quanto del prodotto finale gli rimane in tasca? Insomma, forse è il caso che quando vediamo questi carciofi a un euro, queste fragole e questa uva (“dolcissima”) a due, magari pensiamo a cosa ci sta dietro prima di mettere mano al portafoglio. Dovremmo riflettere sul meccanismo perverso che vede anche noi protagonisti.

Community - Condividi gli articoli ed ottieni crediti
Articolo Precedente

Leonardo DiCaprio, appello ai petrolieri: lasciate le fonti fossili sottoterra

next
Articolo Successivo

Nuovi inceneritori, le Regioni fermino lo Sblocca Italia

next