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Crollo banche, Padoan punta il dito contro la Bce, ma dimentica il ruolo della Consob

Il ministro: "Gestione della comunicazione poco accorta da parte della vigilanza della Banca centrale europea". Peccato che i controlli di Francoforte fossero da tempo noti al mercato. Ma, evidentemente, non alla Commissione di Giuseppe Vegas

Nel gioco dello scarico di responsabilità sul caso delle banche italiane travolte dalle vendite in Borsa, il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan, si dimentica del ruolo della Consob e attacca la Banca Centrale Europea. Sul crollo delle banche italiane ha pesato una “gestione della comunicazione poco accorta da parte della vigilanza Bce”, ha fatto sapere aggiungendo che a causa di quell’errore che ha generato perdite fino al 50% su alcuni titoli “c’è stata una redistribuzione della ricchezza”.

Quello che Padoan non dice è che all’inizio dell’anno Francoforte ha pubblicato un dettagliato documento in cui sottolineava, tra il resto, che “gli elevati livelli di crediti deteriorati richiedono maggiore attenzione da parte dell’autorità di vigilanza” e annunciava che “la situazione degli enti creditizi con alti livelli di crediti deteriorati è al vaglio di una task force dedicata, che formulerà proposte sulle azioni da intraprendere al riguardo” (LEGGI QUI IL DOCUMENTO INTEGRALE).

Quindi l’indiscrezione di sabato 16 gennaio su un nuovo giro ispettivo della Bce non avrebbe dovuto essere una notizia per gli addetti ai lavori come per esempio la Consob che invece, come nota Mario Seminerio su Phastidio.net, il 18 gennaio ha chiesto conto alle banche italiane quotate delle richieste di Francoforte. “La domanda sorge spontanea – si chiede l’economista – perché Consob ha ritenuto di dover pubblicamente richiedere alle banche quotate quella informazione? Non aveva contezza della procedura resa nota dalla Bce il 6 gennaio? Voleva mostrarsi “sul pezzo” nei confronti di opinione pubblica, politica ed istituzioni? Ecco le domande a cui servirebbe dare risposta. Invece di leggere commenti che puntano il dito contro la Bce”.

E ancora: “Forse è responsabilità della Bce prevenire la diffusione di boatos di mercato su comunicazioni da essa effettuate alle banche sotto la sua supervisione? Non abbiamo proprio nulla da imputare al singolare intervento di Consob, letto da molti operatori di mercato come una sorta di intervento per disinnescare una sorta di colpo basso dell’Eurotower verso il sistema bancario italiano, mentre in realtà si trattava di pura routine, e che ha finito col creare un inutile stigma aggiuntivo in capo alle banche che hanno confermato di aver ricevuto la richiesta Bce?”.

E intanto resta sullo sfondo il fatto che gli istituti della Penisola sono gravati da un ingombrante fardello di crediti deteriorati e l’accordo con Bruxelles sulla bad bank, se mai arriverà, si prefigura come decisamente al ribasso. Secondo un’analisi del Centro studi di Unimpresa, poi, il 70% dei finanziamenti bancari non ripagati da famiglie e imprese si riferisce a crediti superiori a 500.000 euro. Sul totale delle sofferenze pari a 201,1 miliardi di euro, 141,4 miliardi sono relativi a finanziamenti oltre il mezzo milione di euro erogati ad appena 32.608 soggetti, il 2,63% dei clienti “problematici” degli istituti; 25,5 miliardi di sofferenze sono a carico di soli 579 soggetti, lo 0,05% del totale. E sul 97% dei clienti (più di 1 milione di soggetti), che hanno prestiti da 250 euro a 500.000 euro, pesa solo il 29% delle sofferenze (52 miliardi).

“Ora emergono gli errori degli istituti – commenta il presidente di Unimpresa, Paolo Longobardi – che per anni hanno prestato denaro con criteri evidentemente sballati. Anche se nell’ultimo periodo è leggermente calato il ritmo con cui cresce la montagna di finanziamenti non ripagati, il problema resta ed è gravissimo perché solo apparentemente è una questione che pesa esclusivamente sui bilanci del settore bancario: a pagare il conto, alla fine della giostra, sono le aziende che vedono sistematicamente respinte le domande di finanziamento”, continua.

Pagano anche i lavoratori del settore. Il sindacato di categoria Fabi, infatti, stima in 23mila unità gli esuberi bancari previsti entro il 2018 che si aggiungono ai 48mila verificatisi dal 2000 ad oggi. La cifra è al netto degli effetti delle prossime fusioni e aggregazioni “che sicuramente ne comporteranno altri”. I conti del sindacato dei lavoratori bancari prendono in considerazione il piano Unicredit con 5740 uscite, 5100 già previste dal vecchio piano,a cui si aggiungono le altre 540 definite nell’aggiornamento di piano industriale 2015-18. Alle 560 già definite se ne potrebbero aggiungere ulteriori 400 derivanti dalla possibile cessione del ramo leasing. Il calcolo prende anche in considerazione le 4.500 riconversioni professionali di Intesa SanPaolo che si trasformeranno in esuberi se riqualificazione lavoratori non andrà in porto; le 8.000 uscite totali fino al 2018 di Mps (piano 2012-2018); 1.300 di Bnl; 600 di Bper; 575 uscite definite e probabili altri 150 potenziali esuberi frutto dell’eventuale di cessione di Servizi bancari di Popolare Vicenza; 900 uscite del Banco Popolare; 500 uscite di Ubi; 430 di Veneto banca;250 di Creval e 600 di Carige.