La prima notte di coprifuoco passa senza incidenti, anche grazie all'invito dell'esecutivo alle forze dell'ordine. Ma sul clima generale pesano la mancanza di lavoro, soprattutto dei giovani, e i campanelli d'allarme sottovalutati in passato
Ci saranno altre proteste e probabilmente altri momenti di tensione nel fine settimana, ma il primo coprifuoco nazionale (dalle 20 alle 5 di mattina) è filato tutto sommato liscio. Kasserine, epicentro della rivolta, non si è mai svegliata così pulita di sabato. Gruppi di giovani volontari hanno ripulito le strade e le piazze dai resti degli scontri dei giorni scorsi. In gran parte erano gli stessi che hanno partecipato alle manifestazioni. Tutti i soggetti organizzati, partiti o associazioni, si dissociano dagli “atti teppistici e vandalici” e ne attribuiscono la responsabilità a qualcun altro, infiltrati, strumentalizzatori estremisti. E tutti, a partire dal Presidente della Repubblica, il vecchio Beji Essebsi, riconoscono le ragioni della protesta, la gravità della mancanza di lavoro, soprattutto per i giovani, soprattutto per le regioni dell’interno. Il governo cerca di capire che linea tenere, si è fatto cogliere impreparato dalla protesta anche se i campanelli d’allarme non mancavano. Il premier Habib Essid ha interrotto la sua partecipazione al summit di Davos per tornare in patria, ma facendo una tappa molto enfatizzata a Parigi. Lo hanno ricevuto contemporaneamente il presidente Hollande e il capo del governo Valls e all’uscita hanno detto di aver concordato una strategia di aiuti di un miliardo di euro in 5 anni. Hollande ha giustificato l’impegno come prevenzione del terrorismo.
Nella gestione interna il governo da un lato cerca di sdrammatizzare dando alla polizia l’indicazione di essere morbida. Indicazione persino scritta in un comunicato pubblico (“Si invitano le forze di polizia a essere distensive”) con una frase quanto meno inconsueta. Dall’altra con il coprifuoco e il dito puntato sulle violenze e danneggiamenti (fin qui non gravi, a parte la morte di un poliziotto) punta il dito sugli aspetti eversivi per evitare che la maggioranza si aggiunga alla protesta. La maggioranza della popolazione infatti appare disorientata – dal giovane avvocato borghese di Tunisi che dice son solo ladri e delinquenti di strada, al disoccupato del paesino berbero secondo il quale laggiù è tutto calmo, son cose del NordOvest, agli amici un po’ anarchici della studentessa italiana per i quali forse finalmente arriva la Seconda Rivoluzione. Ma non c’è un fronte né spontaneo né organizzato che abbia un obiettivo di potere. Né – come si era temuto in passato – una contrapposizione confessionale. Per Patrizia Mancini, italiana residente in Tunisia, blogger e attivista di Tunisia in Red, “o si forma un coordinamento positivo di queste lotte o rischiamo un’oscillazione tra neo autoritarismo e la caotica cultura di morte che prende piede tra i giovani”. Si riferisce innanzitutto ai suicidi o tentati suicidi da cui ha preso le mosse la protesta. C’è una organizzazione in Tunisia che ha una storia e una struttura, e che contemporaneamente riesce a stare in questi movimenti e momenti molto emotivi, cercando di dare un senso rivendicativo e programmatico alla lotta. Si chiama Udc, Union Diplomès Chomeurs, diplomati disoccupati. Vanta 13mila aderenti e soprattutto una presenza in decine di località. Ahmed Sassi, 35 anni, è il responsabile della comunicazione della Udc. Parla di guasti del neo-liberismo e delle privatizzazioni che hanno aumentato la disoccupazione. “Non ci sono alternative, ci vuole un grande e serio intervento pubblico nelle regioni povere. Investimenti, creazione di posti di lavoro, affidamento di terre a cooperative di diplomati disoccupati. E naturalmente superare corruzione e burocrazia che creano ulteriori problemi persino, come è stato all’origine del suicidio di Ridha a Kasserine, nella gestione delle poche occasioni esistenti”. Sassi è fiducioso che il Presidente della Repubblica abbia capito l’importanza del ruolo che la Udc può giocare. Si aprirà un tavolo nei prossimi giorni. O negoziale, o di dialogo nazionale. “Noi intanto andiamo avanti a lottare, con manifestazioni pacifiche e cercando di evitare provocazioni”. Ci può essere un confronto rivoluzionario? “Non c’è uno scontro sul potere. Ma certo se il governo non riesce ad essere credibile i partiti che lo sostengono in Parlamento si renderanno conto che devono mettere persone più adeguate”.