Non è un mistero il fatto che molti grandi potentati bancari e finanziari d’oltreoceano stiano aiutando e sostenendo il progetto dell’Unione Europea. Ovviamente non con parole e teorie filosofico-politiche, affidate invece agli europeisti che anche di fronte alle tragedie più clamorose causate dalla dittatura eurocratica dei mercati continuano a ripetere, come tarantolati, il refrain del “ci vuole più Europa”: l’aiuto fornito dalle banche è un aiuto economico.
In particolare, le grandi banche americane stanno foraggiando a flusso continuo le massicce campagne pubblicitarie contro “Brexit”, ossia contro il possibile distanziamento della Gran Bretagna dalla Ue. Goldman Sachs ha inaugurato il modello, donando – così pare – oltre mezzo milione di sterline alla campagna “Britain Stronger in Europe”. Hanno successivamente aderito alla campagna anche Morgan, Morgan Stanley e Bank of America: anch’esse hanno messo mano al portafoglio per aiutare questa “nobile” causa, mossi indubbiamente, come sempre avviene quando vi sono di mezzo le banche, da disinteressati e filantropici sentimenti.
Sono qui necessarie, credo, due considerazioni generali. In primis, i flussi della finanza – è superfluo ricordarlo – non si muovono mai accidentalmente, ma sempre seguendo la logica del profitto e del potenziamento della dittatura bancaria già divenuta realtà. Non è, dunque, difficile capire dove sia ubicato il potere, quali siano i suoi interessi, quali le sue battaglie: basta, in fondo, seguire le tracce dei foraggiamenti e dei flussi finanziari dei grandi magnati della finanza. Tutte le cause politiche finanziate dalle banche devono quanto meno destare sospetti sulla loro reale natura. Le “rivoluzioni colorate” e la vicenda dell’Ucraina dovrebbero pur averci insegnato qualcosa.
I tanti difensori dell’Unione Europea, che stentano a capire come essa sia la negazione completa della nobile idea di un’Europa di Stati fratelli e democratici, dovranno pur porsi delle domande se nelle loro battaglie per il “ci vuole più Europa” e per frenare gli “euroscetticismi” dilaganti si trovano, di fatto, dalla stessa parte della barricata con Goldman Sachs, Morgan, Morgan Stanley e Bank of America. O sono diventate filantrope le banche, o sono gli “euroinomani” del “ci vuole più Europa” a fare, volenti oppure no, gli interessi della finanza che sta uccidendo il lavoro e i diritti sociali in nome del “fiscal compact” e del vangelo della competitività. Tertium non datur.
Seconda considerazione, altrettanto brevemente. Vi è una collaudata pratica tesa a silenziare gli euroscettici e chiunque, non appagato dalla superficie, cerchi di mostrare il volto del potere e delle oligarchie neofeudali che lo gestiscono: è la pratica della demonizzazione per mezzo della categoria di “complottismo”.
Secondo la neolingua orwelliana oggi dominante, “complottista” non è solo chi vede in modo paranoico complotti ovunque (ossia chi complottista è a tutti gli effetti): è, per estensione, chiunque non si accontenti della versione dei fatti ufficiale e cerchi una verità nascosta dietro il vitreo teatro delle ideologie e delle costruzione retoriche del potere. Secondo questo “uso largo” della categoria, sarebbero, peraltro, liquidati come complottisti anche “maestri del sospetto” come Freud, Nietzsche e Marx.
Ora, da quanto tempo sentiamo ossessivamente silenziati come “complottisti” quanti sostengono che dietro l’Unione Europea si nascondono in realtà gli interessi delle grandi banche e delle compagnie finanziarie? Ormai è un cliché. Un cliché che, tuttavia, alla luce di questi ultimi eventi legati al “Brexit” pare inconsistente. A meno che non si continui a usare la categoria di complottista ai danni di chiunque non accetti serenamente la nuova dittatura finanziaria e classista dell’èlite oligarchica che governa a proprio vantaggio il nuovo ordine mondiale.