E alla fine l’Italia s’è desta. Migliaia di partecipanti hanno popolato cento piazze, in patria e oltralpe, per sostenere il ddl Cirinnà. Molto si è detto sui giornali, si prospetta la solita guerra delle cifre, ma il dato politico evidente è che nel nostro Paese il tema delle unioni omosessuali non è più il recinto di una minoranza, ma un tema sentito da larghe fasce della popolazione. Le immagini delle piazze parlano chiaro.
Piazza della Scala, a Milano, non teme confronti con nessun tipo di altra iniziativa. Bella la partecipazione del sindaco, dei candidati alle primarie, della società civile, delle associazioni. Un arcobaleno che va oltre la bandiera rainbow del movimento Lgbt. Un caleidoscopio di colori che include famiglie tradizionali e famiglie arcobaleno, gay, lesbiche, trans, eterosessuali, padri, madri, figli/e, il vicino di casa, la collega di lavoro, ecc.
Calorosa e appassionata la piazza di Roma. Il segretario di Arcigay, Gabriele Piazzoni, ha intimato al parlamento di non snaturare ancora il progetto di legge che si discuterà in Senato, a partire dal 28 gennaio. Mario Colamarino, presidente del Circolo Mario Mieli, ha fatto notare che la gente radunatasi al Pantheon non era unita dall’odio contro qualcuno, ma che si era lì per rivendicare diritti che sono, prima di ogni altra cosa, umani. Ha infiammato gli animi Vladimir Luxuria, che ha chiesto ai manifestanti del Family Day – quelli che gridano “giù le mani dai bambini”, per intenderci – dove sono quando si tratta di protestare contro i crimini di certi preti cattolici ai danni di innocenze violate. Vibrante il monito di Marilena Grassadonia, che ha gridato con tutto l’amore di una madre, quale lei è, di non toccare di una virgola la norma sulle stepchild adoption. Perché a rimetterci sarebbero i bimbi e le bimbe delle famiglie omogenitoriali. Che sono diventati, anche in quel momento, i figli di tutti e tutte noi.
E Torino, Bologna, Ancona, Vicenza e tutte le altre città hanno dimostrato la stessa cosa: ci sono le nostre vite, in gioco. E con quelle, nessuno può permettersi di giocare. Con il linguaggio della gioia e della determinazione. Con le dinamiche della bellezza, della democrazia. Penso di poter dire che abbiamo dato una grande lezione di civiltà, al nostro paese.
Arrivati a questo punto, poi, sento il dovere di fare un paio di ringraziamenti. Il primo va a Roberto Maroni: con l’autogol del Pirellone, su cui è troneggiata la scritta “Family Day”, ha motivato ancora di più (qualora ce ne fosse bisogno) migliaia di milanesi gay-friendly a scendere in piazza per i diritti civili delle coppie gay e lesbiche. Il secondo va a Mario Adinolfi, che in un suo tweet ha detto che non si arrivava a più di cinquecento persone per piazza, Roma in primis. Chi c’era sa che non è così. Chi guarda le immagini, può farsi un’idea dei numeri. Di certo, se questo è il contatto con la realtà di uno dei maggiori esponenti del fronte antigay, sappiamo sin d’ora quale può essere la credibilità sui due milioni di persone già annunciate per sabato prossimo a Circo Massimo a Roma.
Nella piazza più affollata, quella del Pantheon a Roma, dichiarano mille persone. Forse sono 500. E il 30 diranno che non eravamo un milione
— Mario Adinolfi (@marioadinolfi) 23 Gennaio 2016
Ancora sulla questione dei numeri, infine: non mi entusiasmano certi balletti. Un milione o centomila, poco importa. Abbiamo dimostrato di essere in tanti e tante a schierarci per una questione di giustizia sociale. C’erano i miei amici, c’era mia sorella con il suo compagno, eterosessualissimi e convinti che quello era il posto più giusto dove stare. A tutti e tutte loro dico: grazie, vi voglio bene.
Dell’altra piazza, poi, quella che marcia contro i nostri diritti, i nostri figli e il nostro anelito alla felicità, penso solo una cosa: potranno essere il doppio o la metà, un numero non dà la ragione della bontà di una lotta. I primi a scendere in piazza per i diritti dei neri o per il voto alle donne non erano certo folle oceaniche. Per osannare Hitler e Mussolini, di contro, si riempivano piazze intere. E la folla, con la forza dei numeri, ha pure condannato Gesù. A quella piazza sento di dire una cosa soltanto: c’è una differenza tra l’essere in tanti ed essere troppi. La manifestazione #svegliatItalia ha dimostrato cos’è una moltitudine solidale. Per quello che mi riguarda è già una vittoria. La prima di un percorso destinato a non fermarsi.