“Un election day con annesso referendum per risparmiare fino a 300 milioni di euro”. Torna all’attacco con un tweet il presidente del Consiglio regionale della Basilicata Piero Lacorazza e rivolge un appello al premier Matteo Renzi. “Non si possono gettare 300 milioni per sacrificare la democrazia. Coraggio”. Così invita il capo del governo a unire le date della consultazione anti-trivelle e del primo turno delle elezioni amministrative. Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella deciderà infatti la data del referendum, proprio su proposta del governo, tra il 10 e il 15 febbraio prossimi. La tornata popolare si dovrebbe tenere, per legge, tra il 15 aprile e il 15 giugno (circola già la data di domenica 17 aprile). Che di certo non coinciderà con le amministrative. Alla base della richiesta di posticipare la data c’è il timore che diventi più difficile il raggiungimento del quorum. Nei giorni scorsi il coordinamento nazionale No Triv ha lanciato la proposta di fissare per il 6 giugno la data per “un election day che accorpi referendum sulle trivelle e primo turno delle amministrative”. E che, se spostato, potrebbe dare l’opportunità di ‘salvare’ due quesiti non ammessi. “Tutto dipende da cosa deciderà la Corte Costituzionale sul conflitto di interesse sollevato proprio questa mattina da sei Regioni” spiega a ilfattoquotidiano.it il costituzionalista e coordinatore No Triv Enzo Di Salvatore.
IL TIMORE DELLE REGIONI – “Se non si facesse l’election day ci sarebbero tre consultazioni elettorali tra 15 aprile e 15 giugno” spiega Piero Lacorazza, secondo cui è giusto che “il popolo decida tra sì e no, non tra sì e non voto”. Il presidente del Consiglio della Basilicata aveva già tirato in ballo il premier nei giorni scorsi: “Renzi, paladino della lotta ai costi della politica, non si può permettere questo spreco. Il governo non può dare questo segnale agli italiani”. Parole pronunciate dopo quelle dello stesso capo del governo. “La proposta del referendum è di bloccare tutto e questo significa perdita posti di lavoro ed è un controsenso perché se c’è gas e si stanno già facendo prelievi si blocca il lavoro a metà” ha detto Renzi a Rtl, parlando dello scontro con le Regioni. E chiosando: “Vedremo quello che diranno gli italiani. Vedremo se prevale il buon senso o lo scontro ideologico”. “Vediamo da che parte sta l’Italia sulla strategia energetica” risponde Lacorazza che ritiene “non fondato” il rischio di perdere posti di lavoro e punta sulla necessità di “un grande piano per l’efficientamento energetico”.
LA MOZIONE – Anche il coordinamento nazionale No Triv e le associazioni ambientaliste (Legambiente, Greenpeace e Wwf) premono per fissare un election day. In nome della spending review. Lo hanno ribadito qualche giorno fa, in una conferenza stampa alla Camera dei deputati, insieme alle associazioni ambientaliste e delle rinnovabili. Alcuni parlamentari di Sel e Alternativa libera hanno annunciato che cercheranno alla Camera il sostengo per una mozione che impegni il governo in questa direzione. Oltre al risparmio, c’è un’altra ragione per cui puntare a giugno: i conflitti di attribuzione. Spostando il termine a giugno, infatti, non è detto che il quesito rimanga unico, dato che la partita è ancora aperta.
I CONFLITTI DI ATTRIBUZIONE – I promotori del referendum, infatti, sperano che per allora la Corte Costituzionale riesca a pronunciarsi sul conflitto sollevato (ufficialmente proprio oggi) da sei regioni (Basilicata, Sardegna, Veneto, Liguria, Puglia e Campania) contro il Parlamento. Il ricorso ha l’obiettivo di riabilitare due quesiti referendari (dichiarati non ammissibili dalla Corte di Cassazione) che riguardano la durata dei permessi e il piano delle aree. I quesiti, secondo i No Triv, sono stati fatti decadere dal governo “cancellando la norma che prevedeva il piano delle aree”. La Corte Costituzionale dovrà prima stabilire se il conflitto di attribuzione è ammissibile. “In caso positivo – spiega di Salvatore – si potrebbe chiedere al governo e al capo dello Stato di aspettare la decisione nel merito per, eventualmente, accorpare i quesiti”.
LA CROAZIA – Nel frattempo in Croazia il nuovo premier Tim Oreskovic ha annunciato una moratoria al progetto di esplorazione ed estrazione degli idrocarburi in Adriatico. Il governo uscente del socialdemocratico Zoran Milanovic aveva rinviato al dopo-elezioni il progetto delle trivellazioni in Adriatico per la forte opposizione all’idea da parte di una larga fetta dell’opinione pubblica. Una scelta politica? Senz’altro. Ma motivata anche dal basso prezzo del petrolio e dalla conseguente rinuncia ad investire da parte di alcune multinazionali. Una scelta che in Italia fa molto discutere.