“Perseverate, e serbatevi a miglior avvenire” ripete Matteo Renzi dal palco del teatro Bibiena di Mantova, in occasione dei festeggiamenti per il titolo di capitale della cultura italiana 2016. Il latino dopo l’inglese per il premier che ha deciso di trasformare il Paese. Insieme al ministro Franceschini per quel che riguarda i Beni culturali. Una mutazione genetica, inseguita a suon di “riorganizzazioni”. Un sovvertimento degli obiettivi, praticato attraverso una radicale variazione degli strumenti e delle modalità utilizzati finora. Una frenetica ricerca di smontare che restituisce dignità persino ai decenni più bui del Ministero. Dopo il “silenzio-assenso”, che avrà il potere di portare a termine i cantieri fermi e di avviare quelli in attesa di partire, poi dei direttori dei musei e di molto altro, è ora la volta delle Soprintendenze archeologiche e di quelle paesaggistiche. Accorpate. “Le nuove soprintendenze parleranno con voce unica a cittadini e imprese riducendo tempi e costi burocratici. La riorganizzazione prosegue nella strada di valorizzazione del patrimonio”, si legge sul sito del Mibact.
Ecco a voi le ‘Soprintendenze Archeologia, Belle Arti e Paesaggio’. Si mette insieme quel che a lungo è stato separato. Così “a un’unica domanda corrisponderanno un unico parere e un’unica risposta. Al centro ci sarà una sola Direzione generale Archeologia, Belle arti e Paesaggio, che garantirà il coordinamento delle soprintendenze su tutto il territorio nazionale”. Efficienza e rapidità saranno i nuovi caratteri della struttura, si dice. In realtà, quanto tutta la nuova architettura si mostri pericolosa è agevole rilevarlo. Il punto di partenza del ragionamento che sembra guidare la rivoluzione, imposta da Franceschini e suggerita da Renzi, chiaro. Si fondono “paesaggio” e “patrimonio”. Ambiti che evidentemente costituiscono una superiore unità, associata al più alto livello valoriale di una determinata società o nazione. Elementi garantiti dal celebre articolo 9 della nostra Costituzione. Parti di un tutto.
Quel che invece suscita perplessità è la convinzione che tutela e sviluppo si possano perseguire con una struttura organizzativa unica. Meglio, sostanzialmente unica. Già, perché “La nuova articolazione territoriale, che realizza una distribuzione dei presidi più equilibrata ed efficiente, è stata definita tenendo conto del numero di abitanti, della consistenza del patrimonio culturale e della dimensione dei territori”, si afferma. Ma poi, come ben sa chi con i territori ha una consolidata familiarità, la realtà sembra essere molto diversa. I problemi ai quali con difficoltà spesso si dava risposta con la vecchia organizzazione, troveranno davvero soluzione con la nuova? Diminuiranno progressivamente fino a scomparire le tante criticità imputate a ispettori e Soprintendenti?
La risposta non può che essere negativa. Sfortunatamente, per il patrimonio italiano. Patrimonio che con queste premesse non è difficile ipotizzare che venga sempre più marginalizzato. Ben inteso, marginalizzato nel suo ruolo principale, quello di modello, di riferimento identitario. Perché sul valore monetario, sul suo ruolo commerciale, non c’è da dubitare. Su quello si punta forte. Peggio, si punta tutto. Ed eccoci all’idea di fondo di Renzi-Franceschini, l’uno parte dell’altro in questa visione degradata del patrimonio e della sua tutela. A contare è soprattutto la valorizzazione di un sito archeologico, come di un singolo monumento. Di una vallata in campagna come di un parco urbano. Altrimenti si tratta solo di pietre, di spazi “vuoti”. Insomma questioni trascurabili.
“Sono alla guida del più importante Ministero economico italiano: l’avevo detto come battuta nel giorno del giuramento da ministro, dopo questi mesi ne ho la certezza”. A dirlo nel giugno 2014, il ministro Franceschini, a Pollenzo per l’inaugurazione della Scuola di cucina ideata dall’Università di Scienze Gastronomiche e da Slow Food. Della serie “l’aveva detto”. Il ministro l’ha sbandierato fin da subito. A lui interessa il turismo. I Beni culturali solo lo strumento per aumentare il flusso dei visitatori. Quindi perché stupirsi di come abbia voluto “sistemare” le Soprintendenze? Di come abbia voluto mortificare non solo i funzionari di oggi ma quelli che lungo la storia d’Italia hanno scritto pagine memorabili per la salvaguardia e la valorizzazione di tanta parte del Patrimonio? Davvero sarebbe stato difficile aspettarsi misure diverse dal ministro che ha ufficializzato la possibilità di sostituire ai professionisti i volontari. Nessuna sorpresa. Semmai qualche sorpresa provoca la posizione assunta anche in questa occasione dal Consiglio superiore dei Beni Culturali. Nessun tentativo di opporsi all’accorpamento. Anzi un plauso quasi senza “se” da parte del Presidente, Giuliano Volpe secondo il quale “Chi pensava che si trattava solo di una riorganizzazione amministrativa fatta sotto il peso della spending review si sbagliava. Si tratta, al contrario, di un disegno politico-culturale complessivo”.
Il problema è forse proprio quello. Non è una semplice Riforma. “Si tratta di un disegno politico-culturale”. Tutt’altro che giunto a compimento.