La titanica campagna di richiamo del gruppo Volkswagen (per 8,5 milioni di TDI in Europa) comincia questa settimana in Germania, dove gli esperti stimano un afflusso medio di mille auto al giorno presso ogni concessionario e non meno di 90 minuti di intervento per ogni veicolo. L’operazione è accompagnata da nomine e interrogativi. Il numero uno del marchio, Herbert Diess, ha annunciato una riorganizzazione della struttura di sviluppo che attribuisce responsabilità più chiare. A capo delle quattro divisioni (small, compact, midsize e fullsize, auto elettriche a batteria, cioè BEV) sono stati designati tre manager interni (Klaus- Gerhard Wolpert, 59, Karlheinz Hell, 52, Elmar-Marius Licharz, 45) e uno sfilato alla Continental, Christian Senger, appena 41 anni. Senger, che presso il fornitore aveva la responsabilità dell’Automotive Systems and Technology, si occuperà dei veicoli elettrici, cioè quelli strategici nella nuova visione del marchio.

Il giro di nomine è stato completato con l’ingaggio del 55enne Hinrich J. Woebcken quale direttore delle operazioni in Nord America, cioè il ruolo assegnato a Winfried Vahland dopo l’esplosione dello scandalo, ma l’ex numero uno di Skoda si era dimesso dal gruppo e la nuova posizione era rimasta scoperta. Woebcken, che fino alla scorsa estate dirigeva la divisione per i sistemi destinati ai veicoli commerciali di Knorr Bremse (ruolo svolto per un anno appena), assumerà l’incarico con il prossimo aprile. Il nuovo responsabile per il Nord America ha trascorsi in BMW (10 anni), dove aveva già lavorato per Diess.

Mentre negli Stati Uniti il colosso di Wolfsburg non riesce ancora ad accordarsi con le autorità sulle modalità del richiamo, la Sueddeutsche, la WDR e la NDR hanno anticipato l’intenzione del gruppo di ingaggiare quale “mediatore” l’ex capo dell’FBI, Louis Freeh. Freeh aveva già collaborato con Daimler quando la responsabile dell’integrità era la stessa ex giudice costituzionale tedesca cui ora è stato affidato il compito di trascinare fuori dalle sabbie mobili VW Group, Christine Hohmann-Dennhardt. Il Consiglio di fabbrica ha fatto sapere di non gradire la scelta, il gruppo non ha commentato.

Lo stesso quotidiano e le altre due emittenti pubbliche ha anche rilanciato la notizia del “supertestimone”, un dipendente di lungo corso di Volkswagen che ha preso parte alla manipolazione, secondo il quale nella divisione sviluppo dei motori erano in molti a sapere del software che manometteva i dati. Tutto sarebbe cominciato in vista dell’offensiva “Clean Diesel” sul mercato americano: motori puliti ma dalla tecnologia non troppo costosa. Le prime manipolazioni risalirebbero al novembre del 2006. Tra i lavoratori coinvolti era scattato un patto omertoso, il “voto del silenzio”.

Le ripercussioni del dieselgate cominciano a farsi sentire e Diess ha presentato un piano in 12 punti per raggiungere un aumento della produttività del 10% nel 2016, anche puntando su una maggiore creatività. Secondo i media tedeschi a rimetterci sarebbero soprattutto migliaia di lavoratori interinali ai quali i contratti non verrebbero rinnovati. Le speculazioni si aggirano attorno a 10.000 posti, ma per il momento Volkswagen (che non ha replicato) ha rinnovato 900 contratti a termine nell’area di Kassel. Il progetto di Diess è stato etichettato come “irrealistico” da Bernd Osterloh, potente capo dei Consigli di Fabbrica ed esponente del Consiglio di Sorveglianza dal gruppo. Secondo Osterloh è necessario discutere anche della sicurezza dei posti di lavoro. Volkswagen Group vende meno di Toyota (poco meno e poco più di 10 milioni di auto), ma con il doppio dei dipendenti (circa 600.000 contro meno di 300.000).

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