Scienza

Diabete giovanile, “fermata la malattia nei topi” grazie all’uso di staminali

Alcuni ricercatori americani, coordinati da Doug Melton, dell’università di Harvard, sono arrivati a questo risultato trapiantando delle micro-capsule con cellule generate da staminali umane, che hanno subito iniziato a produrre insulina

La malattia nei topi è stata bloccata per sei mesi. E così si apre uno spiraglio per la cura per il diabete di tipo I, quello che si sviluppa nell’età infantile. Alcuni ricercatori americani, coordinati da Doug Melton, dell’università di Harvard, sono arrivati a questo risultato trapiantando delle micro-capsule con cellule generate da staminali umane, che hanno subito iniziato a produrre insulina. A spiegarlo è lo studio pubblicato sulle riviste Nature Medicine e Nature Biotechnology.

Il diabete di tipo I, detto anche giovanile perché si manifesta principalmente nell’infanzia, è una malattia autoimmunitaria. Attualmente il trapianto di pancreas e l’infusione di isole pancreatiche sono impiegati nella pratica clinica, ma in modo limitato per gli effetti avversi provocati dalla terapia immunosoppressiva. Con questa nuova terapia invece, basata sull’uso di cellule mature derivate da staminali embrionali umane, questi problemi possono essere superati e si può avere una fonte illimitata di cellule umane per la terapia sostitutiva del pancreas.

Un risultato cui i ricercatori americani sono arrivati dopo aver scoperto, alla fine del 2014, come produrre grandi quantità di cellule capaci di fare insulina. Dopo averle impiantate nei topi, le cellule hanno immediatamente iniziato a produrre insulina in risposta al livello di zucchero nel sangue, e sono state in grado di mantenerlo entro i limiti salutari per 174 giorni, cioè tutta la durata dello studio. Il prossimo passo sarà cercare di replicare questi risultati negli esseri umani. “Questo tipo di trattamento consente di non essere più dipendenti dall’insulina nel lungo periodo, ed eliminare il peso quotidiano di dover gestire la malattia per mesi, e anni, tra l’altro senza il bisogno di una terapia immunosoppressiva”, commenta L, vice-presidente della Fondazione per la ricerca sul diabete giovanile, che ha finanziato lo studio.

L’abstract su Nature