Cultura

Giorno della Memoria, l’Olocausto dimenticato dei rom: “Ma i primi a non avere memoria sono loro: i morti sono un tabù”

L'OLOCAUSTO 71 ANNI DOPO - Intervista a Carla Osella, sociologa e presidente dell'Associazione Zingari Oggi, che ha svolto una ricerca sul campo di 7 anni sul massacro di oltre 500mila nomadi: "Il popolo zingaro non parla mai dello sterminio nazista, nessuno ha voglia di ricordarlo, c'è poca coscienza collettiva. Invece dovrebbero avere più coraggio"

Dello sterminio nei lager il popolo zingaro non ha memoria. “Non ne parla mai, nessuno ha voglia di ricordarlo, rom e sinti non celebrano la giornata del 27 gennaio. Sanno che c’è stata una persecuzione nei loro confronti, ma c’è poca coscienza collettiva”. A dirlo è Carla Osella, sociologa e presidente di Aizo (Associazione italiana zingari oggi), che ha svolto una ricerca sul campo durata 7 anni, raccolta nel libro Rom e sinti. Il genocidio dimenticato (Tau, 2013). Forse l’opera più completa in assoluto sul massacro dei nomadi. “Ho attraversato l’Europa, dall’Austria alla Finlandia, visitato 40 città, percorso oltre 50mila chilometri con il camper e la macchina per ricostruire attraverso le testimonianze dei sopravvissuti quello che gli zingari hanno subìto durante la seconda guerra mondiale”.

Un genocidio invisibile. Perché?
Nella cultura rom i morti sono sacri e il sacro diventa una specie di tabù, se ne deve parlare il meno possibile. Solo i più colti affrontano l’argomento. Il grido di dolore lo vivono nella lotta per la sopravvivenza e non per lo sterminio. Un atteggiamento legato alla loro condizione precaria e fatalista. Ma è importante che ricordino la persecuzione nazista, significa dare dignità a un popolo che ha pagato ingiustamente con la vita. Dovrebbero diventare più coraggiosi e dare voce a questo dramma. Un caso esemplare è Romani Rose, un sinto tedesco di 70 anni, un attivista che si è sempre battuto per i diritti della sua gente e ha ottenuto un risarcimento economico dal governo tedesco. Ha aperto anche un museo sul genocidio degli zingari in una piccola città in Germania. In generale, i rom temono il defunto nei 40 giorni successivi alla sua morte. Credono che possa entrare nella roulotte di notte e preferiscono non uscire la sera per non avere guai soprattutto se con il morto prima non c’era un bel rapporto.

“Dovrebbero diventare più coraggiosi e dare voce a questo dramma”

Quanti furono gli zingari uccisi dai nazisti?
Più di 500mila. È stato molto difficile rintracciare qualche parente, recuperare i documenti nei campi di concentramento. In Polonia, a Lodz e Varsavia, nessuno sapeva che lì erano stati deportati migliaia di zingari. Quelli rinchiusi nei lager erano tutti registrati. Ma tantissimi furono uccisi nelle foreste. Venivano arrestati, caricati su camion e l’autista, arrivato a destinazione, apriva il gas dentro il camion e nel giro di un quarto d’ora erano tutti esanimi. Poi scaricava i cadaveri nelle fosse comuni. Molti sinti e rom hanno visto morire amici e parenti nascosti dietro le piante. In altri casi i nazisti arrestavano gli zingari che abitavano nei villaggi limitrofi ai boschi, li costringevano a sistemare i cadaveri nelle fosse comuni e terminato il compito li mitragliavano. Le zone a cui mi riferisco sono Babi Yar, una gola vicino a Kiev, Kaunas, vicino a Riga, e a Rombola, sempre in Lituania. Mentre nessuno dei sinti italiani fu deportato, si salvarono tutti.

Eva Justin faceva esperimenti per dimostrare la loro devianza criminale. Attirava i bambini con i dolci

La “piaga gitana” era una questione di razza, non di ordine di pubblico.
Sì. L’eliminazione degli zingari faceva parte del programma di igiene razziale di Hitler. Andavano ammazzati come gli ebrei, i diversamente abili e i malati psichiatrici. Nel castello di Hartheim, a pochi chilometri da Linz, in Austria, furono radunati molti rom ricoverati negli ospedali della zona insieme agli ebrei, ai sordi, i ciechi, gli epilettici. Là dentro c’era anche una camera a gas. Il 14 agosto del 1940 ai rom fu proibito di avere incarichi pubblici. L’11 febbraio del ’41 furono esclusi dal servizio militare e nel marzo dello stesso anno iniziarono le pratiche di sterilizzazione degli adulti e dei bambini. Senza figli un popolo muore. Ho raccolto anche la storia di Eva Justin, tedesca, soprannominata dai rom “la donna dai capelli rossi” e assistente del dottor Ritter, che ricevette dal Reich 15mila marchi per studiare la biologia degli ebrei e degli zingari e dimostrare la loro devianza criminale. 

Chi era Eva?
Fece una tesi di dottorato in antropologia sull’inferiorità della razza gitana e sulla necessità di ricorrere alla loro sterilizzazione. Imparò la loro lingua, il romanes. Frequentò il collegio di Saint Joseph, a Mulfingen, nel sud della Germania, gestito dalle suore e riservato ai piccoli orfani. Là furono internati 38 bambini rom che il 9 maggio 1944 furono deportati ad Auschwitz, come ricorda la lapide nell’edificio. Amaglie Schaich fu strappata dai genitori e portata in collego a 9 anni. Lei racconta che un ispettore li interrogava di continuo per capire se erano menomati. E che le facevano infilare le perline nel filo in base ai colori per vedere se li sapeva distinguere. Li ritenevano anormali e volevano sminuirli davanti ai bambini orfani. Quei bambini rom erano le cavie dei test di Justin, che li attirava con i dolci perché si lasciassero fotografare. Amaglie scampò alla strage di Auschwitz avvenuta nella notte tra l’1 e il 2 agosto perché quello stesso giorno venne caricata su un treno diretto a Ravensbrück, a nord di Berlino, noto come il lager delle donne. Eva Justin è morta libera nel 1966. Fu assolta da ogni colpa perché agì sotto l’influenza negativa del dottor Ritter.