Il Pentagono sta già intensificando la raccolta di dati che serviranno per avviare nelle prossime settimane "una campagna militare che dovrebbe comprendere bombardamenti aerei e raid delle forze di elite americane", si legge in un editoriale del quotidiano newyorkese. Wikilao: "Generale Serra nel mirino dei jihadisti"
La raccolta delle informazioni di intelligence è in atto da tempo, l’escalation è questione di settimane. Ora Washington è pronta aprire in Libia il terzo fronte della lotta allo Stato Islamico, insieme ad alleati europei tra cui il Regno Unito, la Francia e l’Italia. Lo scrive il New York Times in un’editoriale, spiegando come il Pentagono sta già intensificando la raccolta di dati che serviranno per avviare nelle prossime settimane “una campagna militare che dovrebbe comprendere bombardamenti aerei e raid delle forze di elite americane”.
Il quotidiano parla dunque di “significativa escalation” nella lotta all’Isis, e mette in evidenza “i rischi” di una campagna militare in Libia. Campagna che – si sottolinea – non può non destare preoccupazioni, visto che “un nuovo intervento militare in Libia rappresenterebbe una importante progressione di una guerra che potrebbe facilmente allargarsi ad altri Paesi della regione”.
Il Nyt spiega quindi come lo scopo primario della campagna sia quello di creare con i raid aerei una barriera tra i combattenti dell’Isis in Libia e i simpatizzanti ovunque in Nord Africa e nell’Africa subsahariana. Ma – si sottolinea – i vertici militari Usa stanno ancora valutando se quell’obiettivo sia raggiungibile. Infatti, “anche se il Pentagono e i suoi alleati riusciranno a bombardare con successo, non c’è certezza sulla presenza di una forza di terra affidabile, in grado di controllare le zone liberate”. “E ci sono buone ragioni di credere – prosegue il quotidiano newyorkese – che i raid aerei creeranno alla fine la tentazione di dispiegare truppe di terra per raccogliere dati di intelligence e fornire supporto tecnico alle forze ribelli, come avviene in Iraq e Siria“.
Ma non ci sono solo le insistite e pubbliche minacce jihadiste diffuse dalla Rete ad allarmare chi si occupa del dossier libico. Wikilao.it, portale specializzato nei temi della sicurezza e della geopolitica, riferisce dell’esistenza “di un warning specifico su Paolo Serra, il consigliere militare dell’inviato dell’Onu, Martin Kobler“. Il nome del generale italiano sarebbe “nella lista dei possibili obiettivi stilata in una serie di incontri ai quali hanno partecipato personaggi contrari agli accordi del mese scorso a Shikrat“.
Già in un video-messaggio diffuso il 14 gennaio Al Qaeda nel Maghreb Islamico aveva minacciato l’Italia e in particolare “un generale italiano”, di cui non forniva altri dettagli, “è a capo di un governo fantoccio di cui fa parte gente della nostra razza che ha venduto la sua religione”, alla stregua di quanto accadde “in Iraq con la nomina di Paul Bremer dopo la campagna criminale di George Bush“, per non parlare di come “il suo compagno di crimini Donald Rumsfeld ha insozzato Baghdad”. Tutto lascia pensare che il generale italiano potrebbe sia proprio Paolo Serra, non a capo – evidentemente – del nuovo governo di unità nazionale, ma nuovo Senior Advisor delle Nazioni Unite per le questioni relative alla sicurezza in Libia.
“Il braccio operativo del piano di attacco – secondo quanto riportato – sarebbe formato da elementi di diversa provenienza, anche geografica. Ve ne sarebbero alcuni -si legge- arrivati in Libia dall’estremo oriente asiatico”. “A tramare contro le intese marocchine” sono indicati, fra gli altri, “il solito Nouri Abu Sahmain e il falco radicale misuratino Salah Al Badi, che avrebbe messo a disposizione la sua milizia per ‘contrastare attivamente’ il governo di unità nazionale e tutti coloro che lo appoggiano. Negli incontri sarebbe stato anche deciso di installare il quartier generale delle operazioni di questa variegata alleanza anti-intesa in uno dei penitenziari di Tripoli“.
“La capitale libica – nei piani della comunità internazionale – dovrebbe essere protetta da un contingente a guida italiana di migliaia di uomini, concentrati prevalentemente nel centro della città. In una cintura più esterna – ricorda Wikilao – dovrebbero essere gli stessi libici a garantire la sicurezza e a co-gestire il processo di ammassamento delle armi pesanti che teoricamente dovrebbero essere consegnate dalle diverse milizie”.