L'inchiesta della squadra mobile e della Dda di Milano ha portato all'arresto di Arturo Sgrò e del carrozziere Ignazio Marrone
Uno è un professionista stimato, 42 anni, chirurgo plastico all’ospedale Niguarda di Milano, incensurato e un prestigioso curriculum con esperienze anche all’estero. L’altro è il titolare di una ditta di autodemolizioni, 40 anni, già condannato nel processo Infinito per reati di armi e ricettazione. Il primo riservato, silenzio. L’altro più duro, sfacciato. Profili diversi. Estrazione sociale opposta. Ma una “simbiosi perfetta”. E la stessa accusa: essere ai vertici della ‘ndrangheta di Desio, in provincia di Monza e Brianza. Per questo il medico Arturo Sgrò e Ignazio Marrone sono stati arrestati per associazione mafiosa.
La lunga indagine è stata condotta dal 2013 al 2014 dalla squadra mobile di Milano diretta da Alessandro Giuliano e coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia diretta dal procuratore aggiunto Ilda Boccassini. Secondo gli inquirenti i due riscuotevano crediti per conto di altri membri detenuti provvedendo anche ad aiutarli economicamente. Non solo. Sgrò – secondo l’accusa – curava e dava consigli medici ad esponenti della potente ‘ndrina oltre a visitare i carcerati. Marrone, invece, metteva a disposizione la sua officina di Desio per ospitare gli incontri dei mammasantissima e gli appuntamenti per la riscossione di crediti. L’autorimessa, infatti, era una sorta di fortino dotato di telecamere ovunque, sistemi anti intrusione, disturbatori di frequenze. In più occasioni entrambi gli arrestati hanno partecipato agli incontri con i debitori, ognuno “recitando” la propria parte: Marrone più duro ma più sfacciato, Sgrò più silenzioso, poche parole ma ben assestate. Sgrò, a Milano dal 2009 e attualmente al Niguarda (la struttura è completamente estranea alle indagini), poteva contare su una capacità di intimidazione grazie alla parentela stretta con alcuni ‘ndranghetisti. “Il mio ringraziamento e sostegno va alla Direzione distrettuale antimafia e alle forze di polizia che, dopo anni di indagine, sono riuscite a scoprire un altro pericoloso tentacolo delle cosche calabresi trapiantate al Nord”, commenta la senatrice Pd Lucrezia Ricchiuti, da sempre impegnata contro la ‘ndrangheta a Desio e in Brianza.
Il gip Carlo Ottone De Marchi definisce quello dei due arrestati un “mutuo soccorso”. Marrone era già stato coinvolto nella storica inchiesta Infinito, che nel luglio 2010 portò in carcere 300 affiliati tra Lombardia e Calabria, tra cui il temuto e rispettato Pio Candeloro. Dalle intercettazione telefoniche è emersa la sua disponibilità di armi, alcune delle quasi sequestrati in due sopralluoghi della polizia: una Mauser, arma da guerra, e una Beretta clandestina, custodita da un dipendente della sua ditta. Marrone, siciliano, era autorizzato dal clan a risolvere i contrasti tra gli affiliati di ‘ndrangheta calabrese e Cosa Nostra. Era in contatto con un membro della famiglia Molluso, che ha parenti imputati per mafia a Corsico, con i Mancuso, i Limbadi e il clan siciliani Rinzivillo di Gela. Era inoltre in rapporti strettissimi con Giuseppe Pensabene, capo del locale di Desio, attualmente in carcere.