Lo scontro tra il presidente del Venezuela, Nicolas Maduro, e il parlamento è iniziato: la maggioranza dell’Assemblea nazionale, in mano all’opposizione, ha infatti negato l’approvazione al Decreto di emergenza economica, che conferiva a Maduro poteri straordinari per 60 giorni, rinnovabili, per risolvere la situazione di emergenza economica senza la necessità di una mediazione parlamentare. Una misura necessaria, secondo il presidente, per affrontare la “guerra economica” di cui è vittima il suo Paese, iniziata da Colombia, Stati Uniti e Spagna.
Il delfino di Hugo Chavez aveva chiamato tutti ad una “grande alleanza nazionale” per superare questa emergenza, che minaccia la stabilità e i risultati sociali raggiunti dalla rivoluzione bolivariana negli ultimi 15 anni, lanciando anche la “Agenda storica bolivariana“, che ha il suo fulcro nei 9 motori delle catene produttive, cioè idrocarburi, petrolchimica, agroalimentare, miniere, telecomunicazioni, edilizia, industria militare e turismo, per ampliare le fonti di ricavo del Paese, basate quasi unicamente sul petrolio. Gli ultimi dati presentati dalla Banca centrale venezuelana, i primi resi noti dopo un anno, hanno infatti delineato un quadro a tinte fosche: nei primi nove mesi del 2015 il tasso di inflazione accumulato è stato dell’108,7%, che sale al 141,5% su base annua, in cui il Pil ha registrato una contrazione del 7,1%. “Questi risultati si registrano in un contesto generale caratterizzato dalla riduzione dei beni di consumo finale, dovuta alla diminuzione delle esportazioni e della produzione nazionale, il che a sua volta è dovuto alla caduta dei prezzi internazionali del petrolio”, ha spiegato l’organismo in un comunicato ufficiale.
Secondo l’economista Francisco Faraco, i dati della Banca centrale sono sottostimati e il decreto di emergenza non eliminerà le code dei venezuelani ai supermercati o in farmacia. “L’unica soluzione è ricorrere ad un prestito del Fondo monetario internazionale – spiega l’analista economico – se quest’anno il Venezuela non ottiene un finanziamento di 35-40 mila milioni di dollari, non potrà pagare i debiti, né importare il necessario per condizioni di vita minime”.
Ma il decreto di Maduro è stato respinto da 107 deputati dell’opposizione, dopo il rapporto steso dalla Commissione parlamentare mista che lo ha analizzato, sulla base delle stime di tre università venezuelane nel 2015, da cui emerge che il Pil si è contratto del 10%, l’inflazione ha superato il 270%, le riserve internazionali ammontano a circa 16.538 milioni di dollari e la povertà ha raggiunto il 73%. “Abbiamo negato il nostro voto – ha spiegato José Guerra, deputato dell’opposizione – perché le stesse politiche portano sempre agli stessi risultati. Si vuole imporre un corralito (cioè una limitazione temporanea al poter disporre liberamente dei fondi depositati in banca e di trasferirli all’estero ndr) in bolivares. Vogliamo un nuovo modello visto il fallimento di quello attuale, e politiche economiche diverse. Con un’inflazione e instabilità macroeconomica così alte il Paese non può crescere”.
Dura la reazione del partito di governo, che ha giudicato il no al decreto un voltafaccia al popolo. Per il deputato Hector Rodriguez “i legislatori dell’opposizione vivono in un perenne show politico. Devono assumersi le loro responsabilità. Il punto è se appoggiamo il presidente in questa straordinaria emergenza economica”. Intanto Maduro ha avuto contatti in questi giorni con il presidente russo, Vladimir Putin, e quello iraniano, Hassan Rohani. Il suo obiettivo è attivare un fronte comune per cambiare l’orientamento dell’Opec sul prezzo del petrolio. Per questo ha inviato una lettera agli altri paesi membri per chiedere una riunione di emergenza, prima di quella fissata a giugno. Il Venezuela, insieme a Libia, Iraq, Nigeria e Algeria, è infatti tra i cinque paesi Opec più colpiti dal crollo del prezzo del petrolio.