Per il governatore della Campania Vincenzo De Luca si è aperto un nuovo fronte giudiziario: un avviso di chiusura indagine e di rinvio a giudizio per falso in atto pubblico per la mega realizzazione lievitata per 8 milioni di euro della piazza con imponente Crescent sopra un torrente (in omaggio all’abc del dissesto idrogeologico) quando era il sindaco delle meraviglie a Salerno. Lui insieme è solo uno dei 26 indagati in un’inchiesta di notevoli dimensioni per una serie di reati che spaziano dal peculato alla turbata libertà degli incanti e alla frode nelle pubbliche forniture.
Per il Pd, che dal 6 gennaio per due settimane ha tentato di focalizzare l’attenzione nazionale su Quarto quale Sodoma e Gomorra camorrista targata M5S, si dovrebbe trattare di un ulteriore spunto di riflessione in merito alle candidature “disinvolte” che fanno vincere ma possono trasformarsi in un boomerang.
Ma in Campania e precisamente a Napoli il Pd si trova ad affrontare, anche se al di fuori di questioni di “impresentabilità“, condanne o di rinvii a giudizio attuali, una situazione che in termini politici non è meno imbarazzante e ai limiti della realtà.
Dopo l’autocandidatura del campione dell’eterno ritorno Antonio Bassolino che non è tuttora il candidato di Renzi così come non lo era stato fino a quando ha ritenuto opportuno avallarlo l’impresentabile De Luca, il Pd a distanza di quaranta giorni dalle primarie non ha un suo candidato.
E si tratta sempre dello stesso partito che per tentare di disinnescare la mina Bassolino, uno che a differenza di De Luca non farebbe il pieno dei voti e viene dato dai sondaggi tra il 12 e il 14%, voleva persino lanciare in extremis il divieto ad personam a candidarsi alle primarie per chi aveva già fatto il sindaco.
Intanto “il re della monnezza”, secondo la definizione sintetica di Luigi de Magistris, condannato dalla magistratura contabile a risarcire il Comune per l’assunzione di lavoratori nullafacenti e anche lui beneficiato da ex-governatore della prescrizione per il disastro rifiuti in Campania nella situazione incredibile di candidato unico si diverte: “…Attendo rispettosamente che ci siano altri in campo. Tutto posso fare, meno che candidarmi da solo contro me stesso“.
E lui che è attivamente in campagna elettorale da novembre e che non ha perso la verve degli anni migliori e molto remoti quando impersonava il sindaco del “rinascimento napoletano” finito nel modo noto si compiace della sua determinazione perché “altrimenti a Napoli ci sarebbero stati solo De Magistris, M5S e Gianni Lettieri che fanno il loro lavoro. Ma non ci sarebbe stato il Pd in gioco”.
Morale della favola: in Campania che è una Regione fondamentale per l’esito del voto nazionale e a Napoli che è una delle tre città che determineranno l’esito politico delle amministrative “il Pd è in gioco” grazie a due signori che sono quantomeno due inossidabili rappresentanti di longevità politica nonché campioni del più consolidato e sedimentato potere clientelare.
Se Renzi fa finta che le Amministrative non esistano e distrae gli elettori con le sparate contro Bruxelles e la scommessa del referendum sulla pelle della Costituzione ha un ottimo motivo per farlo: la sua sopravvivenza.