Lo ha dichiarato nel 2010 Francesco Saporito durante un interrogatorio di un'inchiesta su una compravendita di immobili e terreni che è costata al padre del ministro due sanzioni fiscali
Fu Boschi a parlarmi dell’affare e a propormi di formare una società”. È il 21 aprile 2010 quando Francesco Saporito, socio di Pier Luigi Boschi, viene interrogato dai finanzieri del nucleo di polizia tributaria di Arezzo, che indagano su delega di Roberto Rossi, all’epoca sostituto procuratore, per reati che spaziano dalla turbativa d’asta al riciclaggio. Il verbale di interrogatorio, che il Fatto Quotidiano ha potuto visionare, è tra gli atti richiesti dal Csm – che ha già disposto la loro secretazione – per valutare l’eventuale incompatibilità del procuratore Rossi nel seguire il procedimento su Banca Etruria che vede coinvolto, sebbene non indagato, il padre del ministro Maria Elena Boschi.
L’interrogatorio in questione riguarda l’inchiesta sulla compravendita, dall’Università di Firenze, del complesso di immobili e terreni denominato Fattoria Dorna. Questa è la versione di Saporito che – sebbene non risulti aver subìto procedimenti per mafia – è definito in un’ordinanza della dda di Catanzaro del 2007 “prestanome” di alcuni clan calabresi. I finanzieri annotano che stanno indagando il socio di Boschi per riciclaggio sulla “somma di denaro, di dubbia provenienza, impiegata per l’acquisto del complesso Fattoria Dorna”. E domandano: “Come sono avvenute le trattative per l’acquisto della fattoria Dorna?”. “Tramite Edo Commisso, che conosco da 40 anni, venni a sapere di questo affare”, spiega Saporito. Commisso è un coltivatore calabrese che, va precisato, in questa inchiesta non risulta indagato e non ha precedenti penali. “Commisso – continua Saporito – mi presentò a Pier Luigi Boschi che era il presidente della cantina Valdarno superiore”.
E Boschi gli prospetta l’affare: “Mi informò che i terreni di Dorna, che la cantina conduceva in affitto, erano in vendita da parte dell’Università di Firenze, e mi propose di costituire una società agricola, tra me e lui, al 50 per cento, per acquistare l’intero complesso. Boschi disse che l’affare poteva chiudersi per 6,5 milioni e avrei dovuto sborsare 3,8 milioni, poiché avrei acquistato una quota maggiore, sui fabbricati esistenti, mentre la cantina era interessata solo ai vigneti”.
La Cantina presieduta da Boschi aveva già anticipato una caparra: “Boschi mi disse che la cantina aveva versato 800mila euro all’Università nel febbraio 2007”. Però la situazione cambia. “Sei mesi dopo, Boschi mi disse che la cantina non era più in grado di comprare, a causa del calo del prezzo del vino. Ero solo a fronteggiare economicamente l’affare, nel frattempo l’Università aveva aumentato il prezzo a 7,5 milioni, e non disponevo delle risorse finanziarie necessarie. Boschi – su mia richiesta – si occupò di trovare una soluzione. Costituimmo ‘La fattoria di Dorna società agricola’. Boschi deteneva il 90 per cento delle quote, visto che la Cantina aveva già versato 800mila euro, io il 10 per cento. Poi stipulammo un’altra scrittura privata, dopo il mio versamento di 1,4 milioni al venditore, con Boschi al 35 per cento e io al 65”.
L’affare con l’Università si chiude a 7,5 milioni, in parte coperti con la vendita di numerose particelle di terreno e immobili della tenuta, ad acquirenti già contattati prima del rogito finale. Il resto con un mutuo da 3,9 milioni, ottenuto dal Monte dei Paschi di Siena. “Il giorno del rogito finale… il pagamento è avvenuto per 3,9 milioni tramite bonifico di MPS della filiale Montevarchi di Siena che, grazie all’interessamento di Boschi, mi concesse un mutuo agrario…”. Tra gli acquirenti dei terreni in questione, coinvolti nell’affare, anche la “Confraternita dei laici” di Arezzo, antica istituzione aretina, fondata nel 1262: “Un’altra consistente parte di terreni venne ceduta alla ‘Fraternità dei laici’, ma di questa trattativa si occuparono Boschi e l’avvocato Marcelli”. I finanzieri domandano: “Vi sono stati pagamenti in contanti eccedenti l’importo risultante dagli atti notarili?”. “No, lo escludo”, risponde Saporito. Pochi mesi dopo, però, la procura di Arezzo invia la Finanza a casa di Boschi e Saporito per sequestrare l’intera documentazione.
Trovano i riscontri del pagamento in nero, di 250 mila euro, denunciato da uno degli acquirenti, il signor Apollonio. Aprono a carico di Boschi e Saporito un fascicolo per estorsione e si rivolgono all’Agenzia delle Entrate per ulteriori accertamenti, scoprendo che l’importo di 250 mila euro, ripartito tra i due, è inferiore al tetto previsto dal codice penale. I magistrati archiviano ogni accusa. L’Agenzia delle Entrate apre due procedimenti amministrativi, per evasione fiscale e violazione della norma anti-riciclaggio, Boschi paga subito le due sanzioni ed esce dalla società.
Da il Fatto Quotidiano di mercoledì 27 gennaio 2015