Ad ogni epoca il suo Point Break. Là – nella versione di Kathryn Bigelow (1991) – il ralenti della prestazione fisica dei protagonisti per amplificarne rude, indefinibile e imprevedibile coraggio; qua – nel remake di Ericson Core – la moltiplicazione, velocizzazione e ripetizione infinita del gesto estremo che sa di meccanico. E ancora: là la scultorea presenza dell’esposizione di una robustezza dei divi distribuita classicamente tra spalle e braccia; qua lo sguardo rivolto alla perfezione di modernissimi addominali, pettorali e tribali delle “starlette” intese come icone da spot di intimo.
Di confronti, che vedono perdere Point Break versione 2015, ce ne sarebbero tanti e ben motivati. Il lavoro di Core, a lungo atteso per comprendere i motivi effettivi del sacrilegio compiuto, sembra come una riscrittura compressa, un bignami delle vicende del duo Bodhi/Jonnhy Utah, aggiornato ad un ipotetico evo zen, dove misticismo e ascetismo si fondono in un frullato da bar naturista. Va anche detto che sotto il punto di vista della “filosofia” dei cattivi, il Bodhi 2015 e la sua gang, che passano da una rissa alla Fight Club ad una imbarazzante rapina in una cassa di risparmio delle provincie autonome dell’Alto Adige, si arricchiscono di una dimensione ecologista/terzomondista che il gruppuscolo di surfisti capitanati dal rimpianto Patrick Swayze nel ’91 avevano appena sfiorato se non in chiave individualistica.
Nel Point Break 2015 l’aggiornamento del file richiede una sorta di periplo deduttivo che innerva l’intera missione criminale come fosse il mistero di Fatima: invece di una classica sottrazione alla Robin Hood di denari, banconote, diamanti rubati ai ricchi e donati, anzi lanciati dal cielo, ai poveri, qui per la banda criminale ci deve essere una speculazione ambientalista che sottende e si profila sul lungo periodo come missione etica (le “Otto prove di Osaki”, segnatevele). Curioso. Bizzarro. Anche affascinante. Peccato però rilevare che è un sottotesto attaccato con qualche puntina da disegno in un contesto action-movie che prova a correre adrenalinicamente da una performance sportiva all’altra. Eccolo allora un punto a favore di Core in questo infinito match in cui non sembra esserci partita.
Point Break 2015 è un’opera che si dedica alla narrativizzazione di una serie di prove di sport estremi. Wingsuit flying, base jumping, free climbing, surf chiaramente con onde alte trenta metri, e pure un’introduzione con un po’ di motocross tra i canyon e relativi mortiferi strapiombi, distribuiti in mezzo a scenari mozzafiato modello sette meraviglie del mondo. Così se Steve McQueen rifiutava il più possibile l’uso della controfigura per le sue seppur pericolose scene d’azione, in Point Break 2015 i pessimi attori – Edgar Ramirez e Luke Bracey – scelti dalla produzione dopo la sequela di rifiuti delle grandi star passano la mano ad atleti veri e propri: i surfer Laird Hamilton; il pilota di wingsuit Jeb Corliss; il free climber Chris Sharma e il base jumper Jhonathan Florez (morto in azione l’estate scorsa) che grazie alla videocamera sul suo caschetto ha ripreso per la gioia di un Core in pantofole le sequenze nella gola del Crack, sulle Alpi Svizzere, che si vede nel film. Insomma, state comodi, tanto ci pensa la seconda troupe e il secondo cast a fare il film. La natura avrà pur sempre “il modo di farti sentire piccolo”, non a torto, come si dice in Point Break 2015. Ma si può essere a propria volta lillipuziani di fronte ad un semplice film fatto 24 anni prima.