La Corte Europea dei diritti umani ha dichiarato procedibile il ricorso contro la sentenza della Corte di Cassazione che, il 28 gennaio del 2015, assolse tre operatori dell’Ausl di San Donato Milanese dalle accuse di concorso in omicidio per la morte di Federico Barakat avvenuta per mano del padre, durante una visita protetta.
Il fatto avvenne il 25 febbraio del 2009 nella sede del servizio sociale dove venne organizzato l’incontro protetto, alla presenza di un educatore che aveva il compito di vigilare. Invece Federico fu inspiegabilmente lasciato solo col padre che lo aggredì prima con un colpo di pistola alla testa e poi infierì con delle coltellate. Per il bambino non ci fu nulla da fare mentre il padre si suicidò subito dopo. L’aggressione non poteva essere un fulmine a ciel sereno. Antonella Penati, la mamma di Federico, aveva denunciato i maltrattamenti e le minacce di morte dell’ex marito, aveva chiesto aiuto e protezione per il figlio, inutilmente. Come in un terribile processo kafkiano, si trovò accusata di ostacolare la relazione padre-figlio e le venne pure prospettato l’allontanamento di Federico in una casa famiglia. Tutto questo avvenne nonostante le denunce e la perizia di uno psichiatra che aveva diagnosticato all’ex marito un grave disturbo di personalità.
Da quel terribile giorno, Antonella ha cercato giustizia nei tribunali italiani, senza ottenerla, circondata spesso da indifferenza e persino ostilità, ma non si è mai arresa e ha fondato l’associazione Federico nel Cuore per tutelare i diritti dei bambini e delle bambine. Dopo la sentenza della Cassazione che definì la morte di Federico un fallimento del servizio sociale senza però individuare alcuna responsabilità da parte delle istituzioni, è ricorsa al tribunale di Strasburgo assistita dagli avvocati Federico Sinicato e Bruno Nascimbene.
Dopo 7 lunghi anni, una speranza di giustizia e di verità arriva, ancora una volta, al di fuori dei tribunali italiani.