L'OLOCAUSTO 71 ANNI DOPO - La storia di Angelo Signorelli, deportato a 17 anni a Mauthausen, perché fu tra i 120mila di Milano che nel marzo 1944 non andarono al lavoro per protesta contro nazisti e fascisti. Ora la nipote, la fotografa Agnese Vigorelli, girerà un documentario. "I sopravvissuti sono stati pezzi di storia, ma dovremmo recuperare la loro dimensione di persone"
Quando aveva 9 anni, c’era un libro che suo nonno le aveva dedicato ma che lei non poteva leggere. “A mia nipote Agnese e ai giovani d’oggi per un mondo migliore”, si leggeva sul volume. Non era facile spiegare a una bambina delle elementari che suo nonno era stato in un campo di concentramento. Perché Angelo Signorelli era stato deportato, non per motivi razziali, ma perché a 17 anni aveva partecipato “alla più grande dimostrazione di massa nell’Europa occupata“,
Da cinque anni Angelo non c’è più. Così la nipote, Agnese Vigorelli, ha deciso di girare un documentario auto-prodotto. “Mi sono accorta di quanto sia diverso ascoltare i racconti dei sopravvissuti rispetto a leggerli su un libro – racconta a ilfattoquotidiano.it la fotografa milanese – Sono stati pezzi di storia ma erano persone con una famiglia, degli amici. Mi piacerebbe che qualcuno potesse fermarsi a riflettere e dire: ‘È capitato a tuo nonno, ma non era poi così diverso dal mio’”.
“La fabbrica è stata una grande scuola di antifascismo”, spiegava Angelo Signorelli a sua nipote. “Mio nonno era nato in piena epoca fascista – ricorda Agnese – La parola ‘sciopero’ era stata bandita dal regime, era una di quelle parole impronunciabili”. Eppure allo sciopero generale che lo aveva condannato ad andare al lager nazista, avevano partecipato oltre 200mila operai. In prima linea Milano e Torino, con rispettivamente 120mila e 32mila tra uomini e donne a braccia
“I primi tempi non parlava”, continua Agnese Vigorelli. Furono anni di silenzio. Poi, la scelta di iniziare a raccontare la sua storia nelle scuole. “Aveva fiducia nelle nuove generazioni. Credeva che raccontare alle nuove generazioni fosse fondamentale per questo ha passato la sua vita, in particolare dopo la pensione, ad andare nelle scuole, perché credeva che conoscere fosse l’unica possibilità per evitare che questi fatti si ripetessero ancora”. D’altronde, come ripeteva il nonno di Agnese, “se un popolo partorisce dei mostri criminali, non bisogna odiare il popolo, ma evitare che questi criminali si impossessino del potere”.
Dopo i lager nazisti e la Liberazione, quel 17enne fattosi ormai uomo indossò nuovamente la tuta da operaio delle Falck, per toglierla dopo 37 anni, quando è andato in pensione. Un giorno, mentre era in pausa pranzo, ha visto una persona con la divisa da SS, naturalmente senza i gradi e le mostrine. “Probabilmente era quella di un prigioniero di guerra. Ovviamente, lui ha riconosciuto la divisa, è andato da questa persona e gli ha detto: ‘Io Mauthausen, tu SS’. Questa persona si è messa a piangere, si è messo a piangere anche mio nonno e si sono abbracciati. Mio nonno dice che sotto la divisa ha visto l’uomo”.