Cultura

Giorno della Memoria, i gay “nemici di Stato”: “Noi deportati, torturati e dimenticati”. E l’incubo continuò dopo la fine del Reich

L'OLOCAUSTO 71 ANNI DOPO - Dalla notte dei lunghi coltelli, in cui furono trucidati il capo delle Sa Röhm e il suo vice (notoriamente omosessuali) fino ai 15mila rinchiusi nei campi di concentramento. E per qualcuno la prigionia proseguì per anni nelle carceri della Germania democratica

di Federica Scutari

Un triangolo per purificare la razza: verde i criminali, rosso i prigionieri politici, nero gli asociali, marrone i nomadi e gli zingari, porpora i Testimoni di Geova, giallo gli ebrei. E poi rosa. Rosa per gli omosessuali. Furono circa 15mila gli uomini deportati nei campi di concentramento nazisti. Sulla casacca avevano cucito quel simbolo che oggi significa inclusione, protezione. Secondo i dati forniti dall’Arcigay i sopravvissuti furono 4mila. Ma il numero di persone colpite dal Paragrafo 175 (l’articolo del codice penale tedesco che definiva l’omosessualità un crimine) è molto più alto: tra il 1933 e il 1945 furono arrestate 100mila persone. A questi si aggiunge un numero imprecisato di internati nei manicomi. In Italia, nel frattempo, il fascismo non inserì l’omosessualità nel codice penale ma solo perché avrebbe voluto dire ammettere che nella virile Italia del Duce esistevano gli omosessuali. Secondo varie fonti le ammonizioni delle questure furono oltre 20mila, mentre alcune decine di persone furono costrette al confino in varie isole, a partire dalle Tremiti.

Gli omosessuali, per il nazismo, mettevano in pericolo la demografia della Germania. Erano “nemici dello Stato”. Eppure nel partito nazionalsocialista, fino ai vertici, gli omosessuali c’erano. Su tutti Ernst Röhm, il colonnello a capo delle SA, le Sturmabteilungen, le squadre d’assalto, il primo corpo paramilitare del partito. Guida le SA dal 1930, sostiene una “seconda rivoluzione” dopo il Putsch di Monaco, il colpo di Stato del 1923 finito male (cioè con l’arresto dei partecipanti, Hitler compreso). Le SA comandate dal colonnello Röhm arrivarono fino a 3 milioni di unità. Ma non bastò. Alla fine di giugno del 1934 il Führer, stanco delle pretese di autonomia del capo delle squadre d’assalto, riunì circa 200 persone a Bad Wiessee. Tra questi anche i vertici delle SA. Furono trucidate dalle SS almeno 71 persone (ma forse furono il doppio). Era la notte dei lunghi coltelli. E l’epurazione, secondo alcune fonti, non fu solo politica. Era omosessuale Röhm, ma anche il suo vice Edmund Heines e Karl Ernst, “comandante di gruppo” delle Sturmabteilungen.

Ma era solo l’alba delle persecuzioni. La notte dei lunghi coltelli, l’eliminazione dei vertici omosessuali delle SA, furono il punto di svolta. Il Paragrafo 175, poco dopo, fu reso più severo, più stringente: arrivò a punire anche i tentativi di seduzione. La storia degli omosessuali deportati entrò finalmente nel discorso pubblico sull’Olocausto solo durante gli anni Ottanta.

“I nazisti mi hanno torturato con un pezzo di legno di 25 centimetri. Jo fu condannato a morire sbranato dai cani, davanti a me”

Nel 2000 erano noti meno di dieci sopravvissuti e alcuni di loro scelsero di raccontare le loro storie nel documentario Paragraph 175. “Nel 1941 non avevo neanche 18 anni: arrestato, picchiato, torturato”, ha raccontato Pierre Seel, unico omosessuale francese ad aver testimoniato la sua deportazione nel campo di Schirmeck. È rimasto in silenzio trent’anni: “Lo sa perché? Il mio ano sanguina ancora, i nazisti mi hanno torturato con un pezzo di legno di 25 centimetri. Jo (il ragazzo di cui era innamorato, ndr) fu condannato a morire sbranato dai cani, davanti a me. Pensa che io riesca a parlarne, che mi faccia bene? Per me è troppo”.

Heinz F. lo andarono a prendere a casa, in un giorno qualunque: “‘Lei è sospettato di essere omosessuale’. E così mi trovai sulla via per Dachau, senza aver subìto nessun processo”. Rimase lì sei mesi. Una volta uscito partì per un viaggio: “Ero sorvegliato, una signora mi seguiva sempre. Una sera uscii con un uomo e tutto ricominciò: ‘Lei è in arresto’. Questa volta finii a Buchenwald. All’inizio sulle casacche c’era scritto ‘omosessuale’ o ‘Paragrafo 175’, poi arrivò il triangolo rosa”. Heinz ha contato i giorni passati nei campi di concentramento: otto anni e quattro mesi. Il 3 agosto 2011 è morto l’ultimo omosessuale sopravvissuto all’Olocausto. Si chiamava Rudolf Brazda, arrestato nel 1937 e poi nel 1941, fu rinchiuso a Buchenwald: triangolo rosa numero 7952. “Conoscevo alcuni degli altri. Uno faceva il fornaio dove abitavo. Dicevano avesse toccato il suo apprendista ‘in un certo modo’. Fu internato tra i portatori di handicap e nessuno lo vide più. ‘Gli hanno fatto un’iniezione’, dicevano”.

Eppure per qualcuno, all’apertura dei cancelli dei lager, l’incubo non finì. Alcuni di loro furono imprigionati nelle carceri nazionali della nuova Germania, della Repubblica Federale Tedesca, che si trovava sotto l’influenza delle potenze occidentali. L’omosessualità rimase un delitto e non fu mutato nel codice penale fino alla fine degli anni Sessanta. Solo nel 2000 il governo tedesco ha chiesto pubblicamente scusa agli omosessuali.

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