Giorni fa in una città della Grecia centrale, una signora ha ricevuto una prescrizione medica su uno Scottex anziché su carta intestata della mutua (che si chiama Ika). Un altro piccolo grande segno, inquietante come il silenzio sui suicidi da crisi, nella Grecia del 2016: sarebbe dovuto essere l’anno della rinascita nei desiderata della Troika e nei conti di Berlino, invece potrebbe essere ricordato come l’anno della ricaduta.
Schengen, governo ed economia sono le tre spine della Grecia di Tsipras. Fare di Atene il lazzaretto d’Europa non solo significa dissolvere il concetto stesso di unione, ma dare il colpo di grazia ad un Paese che non è ancora uscito da quella crisi economica che in questi mesi potrebbe anche ripresentarsi. Bruxelles è come quella bambina viziata che scarica sulla compagna più debole un problema che invece è strutturale e investe tutti. Ancora una volta la stampa tedesca attacca Atene e chiede più controlli e compiti a casa. Ma a Berlino lo sanno in che condizioni versa la Grecia? Lo sanno che si preparano altri tagli a stipendi e pensioni? Lo sanno che nel solo mese di gennaio a Lesbo sono sbarcati in 40mila? Ha ragione il commissario agli Esteri Federica Mogherini quando richiama all’ordine sui rischi da un’interruzione di Schengen. Ma a questo punto l’Ue faccia mea culpa sul ricatto fatto dalla Turchia al vecchio continente, che è fruttato a Erdogan tre miliardi di euro. E, per una volta, reciti davvero il ruolo di madre dei 28 Stati membri, lasciando nel cassetto quelle accuse e quei veti che invece Berlino usa sempre più come una clava.
Certo, sarà solo un caso che quando in Grecia si comincia a fare sul serio sulla Lista Lagarde, tra udienze, interrogatori e triangolazioni seguendo “il denaro” (così come prescriveva il giudice Giovanni Falcone) tornino con insistenza nel Paese le voci di una crisi di governo, con numeri insufficienti a Tsipras per andare avanti e far passare il ddl sulle riforme. La maggioranza syrizea rischia di perdere i tre voti che ha in più del minimo in occasione del voto: alcuni deputati non se la sentirebbero di avallare altri tagli a agricoltori, pensionati e dipendenti pubblici. Per cui pare che il premier nelle ultime ore abbia allacciato contatti con il numero uno del Pasok, Fofi Gennimata, per far entrare i socialisti nel governo. In quel caso però lascerebbero il partito gli ex ministri Venizelos e Loverdos, tentati dai ragionamenti del neo segretario di Nd, Mitsotakis che punta ad un agglomerato liberal-conservatore. E soprattutto completamente contrari a fare da stampella a Tsipras. La prospettiva di Tsipras al momento è di un esecutivo di larghe intese con tutti dentro, compresi i centristi di Leventis per far passare le riforme in Aula (compresa la nuova legge sulla rassegnazione delle frequenze tv) e arrivare dopo l’estate a nuove urne.
Ma il nodo vero che si ingarbuglia sempre di più è relativo alla valutazione trimestrale che dovrà fare la Troika: non solo sullo stato delle riforme, ma sul raggiungimento dei parametri minimi per “stare” nel memorandum. Lo scorso anno il Paese ha avuto mancate entrate fiscali pari a circa 12 miliardi, mentre per ovviare all’evasione da quest’anno i commercianti e i liberi professionisti pagheranno anche una tassa sui profitti futuri. I ricchi incrementano il proprio patrimonio mentre la classe media scompare lentamente. Intanto lo Stato ha tagliato i contributi (previsti per legge) agli agricoltori, che stanno bloccando le autostrade in tutta la Grecia (isole comprese) con 20mila trattori. Il 4 febbraio ci sarà uno sciopero generale con in piazza tutte le categorie produttive, anche avvocati e architetti alla canna del gas. Altro che pax europea: ad Atene è tornato l’incubo instabilità.
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